giovedì 5 agosto 2021

Carlo Felice? Famelico ultrareazionario sanguinario e ottuso. Di Francesco Casula.


 

Ottuso, guardate, non è solo il giudizio di Raimondo Carta Raspi (Storia della Sardegna, Mursia editore, 1971): è il giudizio, di Pietro Martini, che scriverà testualmente: “Era alieno dalle lettere”, e va bene, non tutti possono essere poeti e scrittori, ma prosegue: “…e da ogni attività che gli ingombrasse la mente”( Storia di Sardegna dall’anno 1799 al 1816, a cura di Aldo Accardo, Ilisso Edizioni,1999).

 

Era alieno dalle lettere e da ogni attività che gli ingombrasse la mente! Ma a mio parere i demeriti di Carlo Felice sono altri e ben più gravi: anche se con questa sua ottusità, durante il periodo giudicale, mai e poi mai sarebbe diventato giudice, perché il Giudice-re, pur provenendo dalla famiglia giudicale, doveva per essere intronizzato avere il consenso della Corona De Logu, e quando si trattava di persone ottuse evidentemente non venivano intronizzati. I demeriti - dicevo – sono ben altri.

 

Carlo Felice è fra tutti i re sabaudi il più reazionario. Lo scrive il già citato Raimondo Carta-Raspi:”Più ottuso e reazionario d’ogni altro principe, oltre che dappoco, gaudente parassita, gretto come la sua amministrazione”(Storia della Sardegna, op. cit.). E lo sostiene anche Pietro Martini – ripeto, pur filo monarchico e filo sabaudo: “Non sì tosto il governo passò in mani del duca del Genevese (Leggi Carlo Felice, nda), la reazione levò più che per lo innanzi la testa; cosicché i mesi che seguirono furono tempo di diffidenza, di allarme, di terrore pubblico”. Ancora sulla stessa linea il Carta-Raspi: “Nei consigli del principe prevaleva il principio del terrore e dell’arbitrio senza limiti”.

 

Terrore pubblico dunque riuscì a creare Carlo Felice agendo sempre con arbitrio senza limiti: da re come da viceré. Si deve a lui la repressione violenta, con l’assassinio di Francesco Cillocco e Francesco Sanna-Corda o l’impiccagione dei martiri e patrioti di Palabanda. La repressione violenta Carlo Felice la esercita delegandola al famigerato Giuseppe Valentino, soprattutto nei confronti dei democratici, come nel caso di Vincenzo Sulis, il capopopolo della rivolta cagliaritana contro i Piemontesi nel 1794, spesso “inventando” congiure inesistenti, e prezzolando i delatori.

 

Sarà il Valentino, presidente del tribunale speciale istituito nel Capo di Sopra per dare parvenza di legalità alla feroce repressione, personaggio crudele ed efferato, che amava pure far squartare le sue povere vittime: infatti dopo averle impiccate, fatta loro tagliare la testa – che rinchiudevano in una gabbia di ferro ed esponevano all’ingresso dei paesi natali, come “monito” – il resto del corpo veniva fatto in quattro: di qui l’espressione rimasta nella lingua sarda, come il peggiore frastimu e irrocu: iscuartarau sias!

 

Ricordo che a soprannominarlo Carlo Feroce furono i liberali piemontesi e Angelo Brofferio, astigiano, poeta, e critico teatrale nonché patriota (anche lui perseguitato e arrestato in Piemonte nel 1830, regnante Carlo Felice) e che nel 1854 verrà eletto deputato in Sardegna, a Cagliari, per protesta contro Cavour.

 

Ma secondo me la cosa peggiore persino della sua ferocia è un’altra: I Savoia, cacciati da Napoleone, come esuli arrivano in Sardegna nel 1799, senza mutande, dicono gli storici, pidocchiosi, morti di fame. La prima operazione che fanno è di triplicare il donativo, le tasse regie, che passano da 200.000 lire sarde a 600.000 lire sarde. Carlo Felice si becca 40.000 lire sarde, e va bene; il fratello, il Duca di Moriana se ne becca altrettante. morirà giovane, e si prende quelle sue 40.000 lire sarde Carlo Felice, quando quei soldi sarebbero dovuti ritornare alla tesoreria regia.

 

La ripartizione di questi maggiori oneri fiscali, ad accrescere gli squilibri e il malcontento, era fatta in modo iniquo, i villaggi, ad esempio, dovevano pagare più del clero e dei feudatari: ben 87.500 lire sarde (75 mila il clero e appena 62 mila i feudatari), ricorda Pietro Martini nel libro che ho già citato.

 

Ebbene un patrizio algherese, giurista, anche lui filo sabaudo, che farà una carriera travolgente fino ad arrivare alla Reale Udienza proprio sotto Carlo Felice, nel suo diario (pubblicato da Carlino Sole in Le Carte Lavagna e l’esilio di Casa Savoia in Sardegna -Giuffrè editore, Milano 1970), scrive questo: non potevano triplicare quelle tasse per due motivi. Un motivo de iure (lui è un giurista): non convocano il Parlamento: unico titolato a decidere o comunque ad approvare l’aumento.

 

Un motivo de facto: siamo all’inizio dell’800, la popolazione muore letteralmente non metaforicamente di fame e di sete, decine di migliaia di bambini muoiono di vaiolo, si trovano i cadaveri per strada, perché all’inizio dell’800 le annate di siccità, si aggiungono a crisi agrarie e si sommano a malattie di ogni tipo, e alle invasioni barbaresche che si moltiplicano. Addirittura non viene dato il soldo ai soldati, non viene pagato lo stipendio agli impiegati. E i tiranni sabaudi, che fanno? Triplicano il donativo. E Carlo Felice cosa fa? Gozzoviglia col compare amico e consigliere Stefano Manca di Villahermosa a Villa d’Orri.

 

 

Francesco Casula

Storico e saggista della cultura sarda.

 

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