mercoledì 15 settembre 2021

16 settembre 1982. Il massacro di Sabra e Shatila


 

(16 Settembre 1982) Periferia di Beirut. Uomini delle milizie cristiano-falangiste entrano nei campi profughi palestinesi di Sabra e Shatila per vendicare l'assassinio del loro neoeletto presidente Bashir Gemayel. Inizia così il massacro della popolazione civile palestinese che durerà due giorni, l’esercito israeliano, insediato a 200 metri da Shatila, a creare una cinta intorno ai campi e a fornire i mezzi necessari all'operazione.  Il generale dell’esercito israeliano Ariel Sharon decise di chiudere i campi profughi e di mettere cecchini sui tetti di ogni palazzo. Niente e nessuno poteva entrare nei campi. Non incontrarono dunque nessun ostacolo le milizie cristiane libanesi, costituite dai falangisti: dinanzi a loro donne, anziani e bambini. Il bilancio sarà di circa 3.000 vittime. Una grande manifestazione di protesta nella stessa Israele porterà alla costituzione di una commissione d’inchiesta che attribuì ad Ariel Sharon (poi diventato primo ministro) la responsabilità del massacro. La Commissione suggerì inoltre le dimissioni di Sharon da ministro della difesa, che comunque non ci furono. 

 

L’esercito israeliano aveva iniziato ad assediare la capitale libanese Beirut nel giugno del 1982, accerchiando i combattenti dell’OLP – l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina – e i suoi alleati. Nel luglio dello stesso anno iniziarono i negoziati per porre fine all’assedio. Pochi giorni prima, infatti, si era firmato un accordo per il quale i fedayin palestinesi, militanti della guerriglia armata palestinese contro lo Stato israeliano, avevano accettato di lasciare il Libano in cambio della garanzia di una protezione internazionale sulla popolazione palestinese rimasta ancora nei campi profughi. Tuttavia quell’accordo si dimostrò essere soltanto carta straccia. Persone inermi, indifese e disarmate furono sgozzate come animali, le donne violentate, i corpi dei bambini sventrati e mutilati. Mai uno sterminio così atroce era stato compiuto sotto gli occhi di un esercito e di un paese democratico.

 

L’11 settembre il ministro israeliano Sharon disse che tra i profughi dei campi di Sabra e di Shatila “si nascondevano oltre duemila terroristi”, annunciando di fatto la strage che sarebbe avvenuta pochi giorni dopo. Nel frattempo, il 14 settembre, un ordigno esplose davanti alla sede del partito falangista libanese uccidendo il suo leader Bashir Gemayel. L’esercito israeliano, in risposta, invase la zona occidentale di Beirut, rompendo il patto precedentemente firmato. Le falangi cristiane libanesi, in accordo con le forze israeliane, utilizzarono l’assassinio del proprio leader come pretesto per attaccare i profughi palestinesi.

 

Loren Jankins, che entrò nei campi profughi subito dopo la strage, scrisse sul quotidiano Washington Post del 20 settembre 1982: « La scena nel campo di Shatila, quando gli osservatori stranieri vi entrarono il sabato mattina, era come un incubo. In un giardino, i corpi di due donne giacevano su delle macerie dalle quali spuntava la testa di un bambino. Accanto ad esse giaceva il corpo senza testa di un bambino. Oltre l'angolo, in un'altra strada, due ragazze, forse di 10 o 12 anni, giacevano sul dorso, con la testa forata e le gambe lanciate lontano. Pochi metri più avanti, otto uomini erano stati mitragliati contro una casa. Ogni viuzza sporca attraverso gli edifici vuoti - dove i palestinesi avevano vissuto dalla fuga dalla Palestina alla creazione dello Stato di Israele nel 1948 - raccontava la propria storia di orrori. In una di esse sedici uomini erano sovrapposti uno sull'altro, mummificati in posizioni contorte e grottesche. »

 

Elaine Carey, giornalista del Daily Mail, in un articolo del 20 settembre 1982, raccontò così la tragedia di quei giorni: «Nella mattinata di sabato 18 settembre, tra i giornalisti esteri si sparse rapidamente una voce: massacro. Io guidai il gruppo verso il campo di Sabra. Nessun segno di vita, di movimento. Molto strano, dal momento che il campo, quattro giorni prima, era brulicante di persone. Quindi scoprimmo il motivo. L’odore traumatizzante della morte era dappertutto. Donne, bambini, vecchi e giovani giacevano sotto il sole cocente. La guerra israelo-palestinese aveva già portato come conseguenza migliaia di morti a Beirut. Ma, in qualche modo, l’uccisione a sangue freddo di questa gente sembrava di gran lunga peggiore».

 

Ogni anno la strage viene commemorata sul luogo del massacro, per il quale né il comandante delle falangi libanesi Elie Hobeika né l’ex ministro della Difesa israeliano Ariel Sharon furono processati. La commissione d’inchiesta voluta dal governo israeliano, come detto, li individuò come responsabili, ma nei fatti i due non patirono alcuna conseguenza.

 

#sababbaiolaedizioni

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