martedì 8 marzo 2022

Nel mondo la condizione della donna è arretrata e inaccettabile. Di Vincenzo Maria D'Ascanio.


 

(25 Marzo 1908) Tragico incendio della fabbrica tessile Triangle: sono 150 le donne che perderanno la vita. Madri, figlie, sorelle. Le donne della “Triangle” lavoravano sessanta ore la settimana oltre gli straordinari che comunque non venivano mai pagari. Ma forse non era nell’esasperante orario di lavoro il vero malessere delle operaie: la sorveglianza era esercitata in maniera maniacale e feroce da caporali pagati dal “padrone”, i ritmi di lavoro erano altissimi, tanto che accadevano spesso incidenti mortali, le lavoratrici erano chiuse a chiave nel loro posto di lavoro, cosa che favorì la tragedia.

 

Sono le 16:40 di quel tragico venerdì che scoppiò l’incendio, che si propagò velocemente raggiungendo l’ultimo piano (il decimo). Alcune donne riuscirono a scendere lungo la scala anti incendio ma questa crollò sotto il peso delle disperate in preda al terrore: anche l’ascensore cedette quasi subito.  Le sopravvissute salirono sul tetto della fabbrica, e si lanciarono nel vuoto per sfuggire al fumo e alle fiamme. A New York le drammatiche immagini si rivedranno soltanto l’11 Settembre 2001, quando il terrorismo islamico attaccò le torri del World Trade center.

 

Scrive Gian Antonio Stella, dopo aver riletto alcuni ritagli di giornale del periodo:  «La folla da sotto urlava: “Non saltare!”», scrisse il New York Times. «Ma le alternative erano solo due: saltare o morire bruciati. E hanno cominciato a cadere i corpi». Tanti che «i pompieri non potevano avvicinarsi con i mezzi perché nella strada c’erano mucchi di cadaveri». «Qualcuno pensò di tendere delle reti per raccogliere i corpi che cadevano dall’alto», scrisse il Daily, «ma queste furono subito strappate dalla violenza di questa macabra grandinata. In pochi istanti sul pavimento caddero in piramide orrenda cadaveri di trenta o quaranta impiegate alla confezione delle camicie». «A una finestra del nono piano vedemmo apparire un uomo e una donna. Ella baciò l’uomo che poi la lanciò nel vuoto e la seguì immediatamente».

La storia di questa festa resta comunque controversa, molti sostengono che in realtà essa affondi le proprie radici nella manifestazione che il Partito Socialista americano organizzò il 28 febbraio 1909 a sostegno del diritto delle donne al voto. Secondo la tradizione socialista (anche in Italia dove dal dopoguerra l’8 marzo acquista nuovo impulso a partire dalla manifestazione indetta dall’Udi – che, almeno a quanto scrive la CGIL nel suo sito, sceglie come simbolo la mimosa -, nel 1946) inizialmente l’avvenimento originario sembra essere quello dello sciopero di operaie newyorkesi nel 1857, ma, a partire dagli anni ‘50 (e dunque in piena guerra fredda), si afferma la versione delle operaie bruciate nel rogo della loro fabbrica nel 1908.

 

Ad ogni buon conto, bisogna evidenziare che la condizione della donna è di certo mutata è decisamente mutata, ma solo nel mondo occidentale, e non completamente. Anche nelle Nazioni più ricche ci troviamo spesso dinanzi a delle disparità, soprattutto nel mondo del lavoro, dove molte donne sono costrette a subire anche le attenzioni di datori di lavoro poco educati.

 

Tuttavia nelle zone più povere las condizione della donna non è molto diversa da quella delle donne nella fabbrica tessile “Triangle.” La loro scelta spesso si riduce a un matrimonio combinato, oppure a lavorare in luoghi senza igiene e pericolosi da ogni punto di vista. Questo quando le loro vite non si trasformano in una vera e propria tragedia, come quando si trasformano in donne oggetto sin dall’infanzia.

 

Vincenzo Maria D’Ascanio

 

 

 

 

 

 

 

 

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