lunedì 2 maggio 2022

il genio simbolico di Eugenio Montale.


 L'uomo coltiva la propria infelicità per avere il gusto di combatterla a piccole dosi. Essere sempre infelici, ma non troppo, è condizione sine qua non di piccole e intermittenti felicità.” Eugenio Montale (Genova, 12 ottobre 1896 – Milano, 12 settembre 1981)

 

(12 Ottobre 1896) Nasce a Genova Eugenio Montale, considerato tra i più importanti poeti del novecento italiano. Autodidatta, nel 1925 pubblica la raccolta di liriche, “Ossi di seppia”. Antifascista, sottoscrive nel 1925 “Il Manifesto degli intellettuali antifascisti” di Benedetto Croce. Al termine della seconda guerra mondiale si avvicina al Partito d’Azione e inizia a collaborare col “Corriere della Sera.” Nominato senatore a vita nel 1967, riceve il riconoscimento più importante nel 1975: il premio Nobel per la letteratura. Muore a Milano il 12 settembre 1981.

 

Chiamato alle armi (1917-19), prese parte alla prima guerra mondiale come sottotenente di fanteria. Legato ai circoli intellettuali genovesi, dal 1920 strinse rapporti anche con gli ambienti torinesi, collaborando al “Baretti” di P. Gobetti. Trasferitosi a Firenze (1927), frequentò il caffè delle Giubbe Rosse e fu vicino agli intellettuali di Solaria, dal 1929 fu direttore del Gabinetto scientifico-letterario Vieusseux, incarico da cui fu rimosso nel 1938 perché non iscritto al Partito fascista.

 

Con “Ossi di Seppia” Montale fissò i termini, che sarebbero divenuti popolari, di una filosofia scettica e pessimista in cui il "male di vivere" discende infallibilmente dalla inaccessibilità di ogni trascendenza. In riferimento al titolo, gli “ossi di seppia” sono residui calcarei di molluschi che il mare deposita sulla spiaggia, dunque Montale probabilmente allude a una condizione vitale impoverita, ridotta all'aridità e all'inconsistenza

 

Nelle due raccolte successive che probabilmente costituiscono il risultato più alto della sua poesia (“Le occasioni”, il cui primo nucleo è costituito da “La casa dei doganieri e altri versi,” 1932; “La bufera e altro,” 1956, che include anche i versi di “Finisterre,” 1943), a un approfondirsi della crisi personale, cui non furono estranei i drammatici avvenimenti dell'epoca, corrispondeva la ricerca di una densità simbolica e di un'evidenza nuove del linguaggio, con la rinuncia a quanto di impressionistico e ingenuamente comunicativo sopravviveva nella sua precedente raccolta.

 

Prendeva forma così quella peculiare interpretazione montaliana della lezione simbolista (per la quale si è parlato di "correlativo oggettivo" e il suo nome è stato accostato a quello di T. S. Eliot), che è altresì all'origine dello stile illustre novecentesco proprio da Montale portato a perfezione: una sorta di classicismo virtuale, in cui il poeta riesce a far convivere l'aulico e il prosaico in un processo di scambio delle rispettive funzioni, dove i termini rari o preziosi naturalmente si adeguano a esprimere l'irripetibile singolarità dell'esperienza così come le parole del linguaggio quotidiano e "parlato" si caricano di un più inquieto rapporto con le semplici cose da esse designate.

 

L'ultimo tempo della poesia montaliana, inaspettatamente fecondo e cordiale, prende l'avvio da Satura (1971), in cui confluiscono anche, con altre successive, le liriche del volumetto Xenia (1966), scritte per la morte della moglie Drusilla Tanzi, e prosegue, come un'ininterrotta rivelazione, attraverso Diario del '71 e del '72 (1973), Quaderno di quattro anni (1977) e Altri versi (1981), una raccolta quest'ultima già anticipata nell'edizione critica complessiva. L'opera in versi (a cura di M. Bettarini e G. Contini, 1980), che comprende anche il Quaderno di traduzioni (1948; ed. accr. 1975), con versioni poetiche da Shakespeare, Hopkins, Joyce, Eliot, ecc., e offre una sezione di Poesie disperse, edite e inedite.


Alcune poesie di Montale, conosciute al grande pubblico.

 

"Spesso il male di vivere ho incontrato"
di Eugenio Montale.

Spesso il male di vivere ho incontrato
era il rivo strozzato che gorgoglia
era l’incartocciarsi della foglia
riarsa, era il cavallo stramazzato.

Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indifferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e il falco alto levato.

***

"Meriggiare pallido e assorto"
di Eugenio Montale.

"Meriggiare pallido e assorto
presso un rovente muro d’orto,
ascoltare tra i pruni e gli sterpi
schiocchi di merli, frusci di serpi.

Nelle crepe del suolo o su la veccia
spiar le file di rosse formiche
ch’ora si rompono ed ora s’intrecciano
a sommo di minuscole biche.

Osservare tra frondi il palpitare
lontano di scaglie di mare
mentre si levano tremuli scricchi
di cicale dai calvi picchi.

E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e il suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bottiglia"

***

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale

(di Eugenio Montale)

Ho sceso, dandoti il braccio,
almeno un milione di scale
E ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.
Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio.

Il mio dura tuttora, né più mi occorrono
Le coincidenze, le prenotazioni,
Le trappole, gli scorni di chi crede
Che la realtà sia quella che si vede.

Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
Non già perché con quattr'occhi
forse si vede di più.
Con te le ho scese
perché sapevo che di noi due
Le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
Erano le tue.

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