Un
gentile interlocutore, Gabriele Peis, mi scrive che "la statua non
andrebbe rimossa perché fa parte della città".
Ecco
la mia risposta.
Come
Comitato “Spostiamo la statua di Carlo Felice” abbiamo proposto e proponiamo di
“rimuoverla” per collocarla nell'androne
dell'ingresso principale del Palazzo Regio in Piazza Palazzo a Cagliari, casa
sua: dove soggiornò per 15 anni.
La
riteniamo infatti un “manufatto”, persino con elementi di “bene culturale”,
architettonico, scultorio. E’ dunque giusto che venga conservato e non
distrutto. Ma non esibito. Esposto in una pubblica Piazza. Come fosse un eroe
da omaggiare e non un figuro, oggetto di condanna sprezzo e ludibrio.
Lo spostamento di quella statua, sarebbe un evento formidabile per
l’intera Sardegna: innescherebbe processi di nuova consapevolezza identitaria e
di autostima. E insieme – dato a cui io personalmente sono
estremamente interessato – sarebbe un’occasione formidabile per favorire la
curiosità, il risveglio e l’interesse per la storia sarda: altro che
seppellimento o cancellazione della storia come, in modo insipiente e
strumentale, qualcuno afferma!
Anche
perché – come osserva acutamente la ricercatrice Valeria Deplano (Università di
Cagliari) – Le statue, come i monumenti commemorativi,
o la toponomastica, non sono “la storia”, ma uno strumento attraverso cui
specifici personaggi o eventi storici, accuratamente selezionati, vengono
celebrati; nella maggior parte dei casi – non sempre – sono le
istituzioni, in particolare quelle statali, a scegliere chi o che cosa sia
degno di essere ricordato e celebrato. Si tratta di un’operazione centrale per
la costruzione di una narrativa nazionale funzionale alla visione del potere
stesso: il modo con cui si sceglie di ricordare il passato e di celebrarlo
infatti influisce sul modo con cui gli individui e le comunità guardano il
mondo, sé stessi e gli altri. Questo vale ovunque, e in qualunque epoca.
Naturalmente,
la statua, nell’androne del palazzo regio, dovrà essere senza piedistallo e
corredata da una adeguata didascalia, magari prendendo in prestito i giudizi e
le valutazioni di storici a lui contemporanei, come Pietro Martini, uno dei
fondatori della storiografia sarda, peraltro filo monarchico e filo sabaudo
(Era alieno dalle lettere e da qualsiasi attività che gli ingombrasse la
mente); o di eminenti storici più recenti come Raimondo Carta Raspi (Era più
ottuso e reazionario d’ogni altro principe, oltre che dappoco, gaudente
parassita, gretto come la sua amministrazione).
Perché,
c’è da chiedersi allora, ci si oppone? Forse la risposta, essenziale e
urticante, l’ha data in un suo post il sociologo e docente universitario sardo Alessandro Mongili: "Non sono contrari allo spostamento
di Carlo Felice, sono contrari a qualsiasi liberazione della Sardegna. Sono
troppo affezionati alla loro identità tzeraca. #cds
Anthropology. Bisogno di papà terramannesu. Paura del cambiamento. Paura
di passare da grezzi fuori moda. Pavidità come forma prevalente di vita.
Conformismo. Perbenismo. Cose così”. Insomma non tocheis nudda: quieta non
movere. Non capendo l’alto valore simbolico negativo di quella statua (e di
altre nelle Piazze sarde).
A
sottolinearlo con dovizia di argomenti è il docente universitario Giuseppe
Melis, promotore del Comitato stesso: quella statua sta lì a “segnare” e
“marchiare” il territorio, a dirti, dall’alto, che lui è il regnante e tu
sardo, sei ancora suddito. Dunque devi continuare a omaggiarlo, a riconoscerlo
come tale. Anche se da vice re come da re è stato il tuo carnefice e un tiranno
famelico, ottuso e sanguinario, come documentato – fra gli altri – dagli storici
cui rimando.*
Non
capendo – come scrive efficacemente lo storico Omar Onnis – che “Dietro i simboli del potere ci sono sempre assetti materiali,
rapporti di forza, diseguaglianze sociali. Vale anche per la Sardegna e per la
questione delle statue e dell’odonomastica”.
Ci
è stato suggerito: non sarebbe più semplice lasciare la statua dov’è ma
corredarla di una didascalia che documenti le sue malefatte? Ha risposto, con
saggezza, Antonello Gregorini, di Nurnet-La rete dei nuraghi:” Ma allora che
figura farebbe Cagliari, e la Sardegna, di fronte a un visitatore che venisse a
sapere che i nostri cittadini hanno voluto celebrare, a futura memoria, un
tiranno di quella caratura? Quanto meno penserebbe che siamo dei poveri codardi
autolesionisti”.
Concludo.
Sono stato a più riprese accusato personalmente di essere “rancoroso” verso la
storia. Nemmeno per sogno. Nessun ripiegamento nostalgico o risentito verso il
passato: ma il passato sepolto, nascosto, rimosso, si tratta prima di tutto di
dissotterrarlo e conoscerlo, perché diventi fatto nuovo che interroga
l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica
attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare,
aperti al suo respiro, il mondo lottando contro il tempo della dimenticanza.
Francesco Casula
Storico e saggista della cultura sarda.
*
1.
Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, Ed. Mursia, Milano, 1971.
2.
Pietro Martini, Storia di Sardegna dall’anno 1799 al 1816, a cura di Aldo
Accardo, Ilisso Edizioni,1999.
3.
E. Pontieri, Carlo Felice al governo della Sardegna (1799-1806).
4.
Giuseppi Dei Nur, Buongiorno Sardegna: da dove veniamo, Ed. La Biglioteca
dell’Identità, 2013.
5.
Le Carte Lavagna e l’esilio di Casa Savoia in Sardegna di Carlino Sole (Giuffrè
editore, Milano 1970.
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