martedì 6 dicembre 2022

Ancora sullo spostamento della statua di Carlo Felice. Di Francesco Casula.


 

Un gentile interlocutore, Gabriele Peis, mi scrive che "la statua non andrebbe rimossa perché fa parte della città".

Ecco la mia risposta.

Come Comitato “Spostiamo la statua di Carlo Felice” abbiamo proposto e proponiamo di “rimuoverla” per collocarla nell'androne dell'ingresso principale del Palazzo Regio in Piazza Palazzo a Cagliari, casa sua: dove soggiornò per 15 anni.

La riteniamo infatti un “manufatto”, persino con elementi di “bene culturale”, architettonico, scultorio. E’ dunque giusto che venga conservato e non distrutto. Ma non esibito. Esposto in una pubblica Piazza. Come fosse un eroe da omaggiare e non un figuro, oggetto di condanna sprezzo e ludibrio.

 

Lo spostamento di quella statua, sarebbe un evento formidabile per l’intera Sardegna: innescherebbe processi di nuova consapevolezza identitaria e di autostima. E insieme – dato a cui io personalmente sono estremamente interessato – sarebbe un’occasione formidabile per favorire la curiosità, il risveglio e l’interesse per la storia sarda: altro che seppellimento o cancellazione della storia come, in modo insipiente e strumentale, qualcuno afferma!

 

Anche perché – come osserva acutamente la ricercatrice Valeria Deplano (Università di Cagliari) – Le statue, come i monumenti commemorativi, o la toponomastica, non sono “la storia”, ma uno strumento attraverso cui specifici personaggi o eventi storici, accuratamente selezionati, vengono celebrati; nella maggior parte dei casi – non sempre – sono le istituzioni, in particolare quelle statali, a scegliere chi o che cosa sia degno di essere ricordato e celebrato. Si tratta di un’operazione centrale per la costruzione di una narrativa nazionale funzionale alla visione del potere stesso: il modo con cui si sceglie di ricordare il passato e di celebrarlo infatti influisce sul modo con cui gli individui e le comunità guardano il mondo, sé stessi e gli altri. Questo vale ovunque, e in qualunque epoca.

 

Naturalmente, la statua, nell’androne del palazzo regio, dovrà essere senza piedistallo e corredata da una adeguata didascalia, magari prendendo in prestito i giudizi e le valutazioni di storici a lui contemporanei, come Pietro Martini, uno dei fondatori della storiografia sarda, peraltro filo monarchico e filo sabaudo (Era alieno dalle lettere e da qualsiasi attività che gli ingombrasse la mente); o di eminenti storici più recenti come Raimondo Carta Raspi (Era più ottuso e reazionario d’ogni altro principe, oltre che dappoco, gaudente parassita, gretto come la sua amministrazione).

 

Perché, c’è da chiedersi allora, ci si oppone? Forse la risposta, essenziale e urticante, l’ha data in un suo post il sociologo e docente universitario sardo Alessandro Mongili: "Non sono contrari allo spostamento di Carlo Felice, sono contrari a qualsiasi liberazione della Sardegna. Sono troppo affezionati alla loro identità tzeraca. #cds Anthropology. Bisogno di papà terramannesu. Paura del cambiamento. Paura di passare da grezzi fuori moda. Pavidità come forma prevalente di vita. Conformismo. Perbenismo. Cose così”. Insomma non tocheis nudda: quieta non movere. Non capendo l’alto valore simbolico negativo di quella statua (e di altre nelle Piazze sarde).

 

A sottolinearlo con dovizia di argomenti è il docente universitario Giuseppe Melis, promotore del Comitato stesso: quella statua sta lì a “segnare” e “marchiare” il territorio, a dirti, dall’alto, che lui è il regnante e tu sardo, sei ancora suddito. Dunque devi continuare a omaggiarlo, a riconoscerlo come tale. Anche se da vice re come da re è stato il tuo carnefice e un tiranno famelico, ottuso e sanguinario, come documentato – fra gli altri – dagli storici cui rimando.*

Non capendo – come scrive efficacemente lo storico Omar Onnis – che “Dietro i simboli del potere ci sono sempre assetti materiali, rapporti di forza, diseguaglianze sociali. Vale anche per la Sardegna e per la questione delle statue e dell’odonomastica”.

 

Ci è stato suggerito: non sarebbe più semplice lasciare la statua dov’è ma corredarla di una didascalia che documenti le sue malefatte? Ha risposto, con saggezza, Antonello Gregorini, di Nurnet-La rete dei nuraghi:” Ma allora che figura farebbe Cagliari, e la Sardegna, di fronte a un visitatore che venisse a sapere che i nostri cittadini hanno voluto celebrare, a futura memoria, un tiranno di quella caratura? Quanto meno penserebbe che siamo dei poveri codardi autolesionisti”.

 

Concludo. Sono stato a più riprese accusato personalmente di essere “rancoroso” verso la storia. Nemmeno per sogno. Nessun ripiegamento nostalgico o risentito verso il passato: ma il passato sepolto, nascosto, rimosso, si tratta prima di tutto di dissotterrarlo e conoscerlo, perché diventi fatto nuovo che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, aperti al suo respiro, il mondo lottando contro il tempo della dimenticanza.

 

Francesco Casula

Storico e saggista della cultura sarda.

*

 

1. Raimondo Carta Raspi, Storia della Sardegna, Ed. Mursia, Milano, 1971.

2. Pietro Martini, Storia di Sardegna dall’anno 1799 al 1816, a cura di Aldo Accardo, Ilisso Edizioni,1999.

3. E. Pontieri, Carlo Felice al governo della Sardegna (1799-1806).

4. Giuseppi Dei Nur, Buongiorno Sardegna: da dove veniamo, Ed. La Biglioteca dell’Identità, 2013.

5. Le Carte Lavagna e l’esilio di Casa Savoia in Sardegna di Carlino Sole (Giuffrè editore, Milano 1970.

 

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