mercoledì 20 dicembre 2023

Soru e il dialetto “stretto.” Di Pier Franco Devias.


 

Ho letto l’articolo di Repubblica che vorrebbe descrivere la situazione preelettorale in Sardegna. Un articolo che trasuda tutto il pregiudizio antisardo tipico del liberalismo radical-chic italiano con la puzza sotto il naso e il maglioncino in cachemire sulle spalle. Un articolo che pretende di essere talmente sfacciatamente a favore di Todde che nella foga di presentare Soru come una macchietta finisce per allestire il mercatino dei luoghi comuni sui sardi.

Nel classico bestiario delle cose “oddio, tzardoo” non poteva mancare il richiamo alla faida e al pane carasau, anche se né l’una né l’altra cosa hanno a che vedere con la campagna elettorale. Chissà quanto è stata dura non infilarci da qualche parte anche la pecora. E insomma nel tentativo di presentare un Renato Soru poco attraente per il salotto buono della sinistra rosè il giornalista segnala che “tiene comizi solo in dialetto stretto”. Si riferisce al suo intervento in sardo di domenica scorsa.

 

Intanto non si tratta di comizi, poi non li tiene “solo” in sardo (tentativo maldestro di farlo risultare vagamente fanatico) ma “anche” in sardo. E scusate se i sardi hanno il difetto di parlare anche in sardo. Ma poi la chicca è proprio il concetto di “dialetto stretto”.

Allora. Sul fatto che il sardo sia una lingua a sè e non una qualche variante di altra lingua, lo sanno tutti fuorchè evidentemente a Repubblica e nei salotti dove si preparano gli articoli. Però la cosa bella è proprio quello “stretto”. In che senso “stretto”? C’è un modo di parlare il sardo non stretto?

 

Che so, avete mai visto un giornalista italiano dire cose tipo “Il candidato all’Eliseo ha tenuto il suo discorso in francese stretto”? Che cosa può voler indicare quello “stretto” assieme a “dialetto” se non il tentativo di presentare Soru, e con esso tutti i sardi che amano la propria cultura, come retrogradi ottusi, chiusi al mondo e alle sua novità? Ma veramente pretendono di dipingere Soru come uno chiuso alle novità del mondo solo perché ha utilizzato, valorizzandola e normalizzandola, la lingua del suo popolo?

 

Davvero Repubblica e il suo corrispondente ambientino politico radical-chic pretendono di ridicolizzare e denigrare Soru (facendo fare per risultanza, secondo loro, bella figura a Todde) con questo armamentario degno di Alfredo Niceforo? E alla fine giusto per dare quel tocco di colonialismo (parola che non si deve mai usare, come ha redarguito Todde a Cagliari) il giornalista spiega che per capire ciò che ha detto Soru deve attendere che i suoi colleghi “indigeni” gli facciano la traduzione. Non so se avete mai sentito un giornalista italiano dire che attendeva la traduzione del discorso di Netanyahu da parte dei giornalisti indigeni.

 

Ebbene, mi presto io, da fiero indigeno di questa terra, a tradurgli cosa ha detto Soru. Ha detto che dobbiamo camminare sulle nostre gambe, essere propositivi, costruire il nostro futuro e riportare i nostri giovani a vivere qui e fare crescere questa nostra bellissima terra. Ha detto che dobbiamo essere orgogliosi di noi stessi e prepararci ad affrontare le grandi sfide del futuro, per far si che questa isola diventi l’avanguardia della cultura, della scienza, della proposta sostenibile, del rispetto dell’ambiente, del lavoro giusto e rispettato. E lo ha detto, spontaneamente, nella lingua che è di questo popolo da mille anni, e che non ci vergogniamo più di parlare e di difendere, nonostante abbiate cercato per decenni di sradicarla e di farcene vergognare.

 

Ecco, questo ha detto. E noi siamo orgogliosi di essere al fianco dell’unico presidente della storia autonomistica sarda che spiega il suo programma in sardo, ai sardi, per la Sardegna.

 

Per voi è normale che un presidente italiano parli in italiano agli italiani. Anche noi stiamo cercando di normalizzare questo fatto che dovrebbe essere neutro e non dovrebbe scandalizzare nessuno, scrollandoci di dosso decenni di autorazzismo e di ridicolizzazione indotta della nostra identità. E continueremo a farlo. Nonostante gli articoli di Repubblica e del suo corrispondente ambiente politico.

 

Pier Franco Devias

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