martedì 2 gennaio 2024

(02 Gennaio 1960) Muore Fausto Coppi. Di Vincenzo Maria D’Ascanio.


(02 Gennaio 1960) Muore Fausto Coppi. A uccidere a quarant’anni “un uomo solo al comando” è il virus della malaria. Il Giro del 1947, le grandi stagioni del 1949 e del 1952, il Mondiale del 1953, lo hanno reso un mito. Il campionissimo se ne va, e il dolore per la sua morte accomuna tutti gli italiani.

 

Soprannominato "l'Airone" è considerato uno dei più grandi e popolari atleti di tutti i tempi. Formidabile passista, eccezionale scalatore, e dotato di un buono spunto veloce, era un corridore adatto ad ogni tipo di competizione su strada. Leggendaria fu la sua rivalità con l'altro campione Gino Bartali, che divise l'Italia nell'immediato dopoguerra (anche per le presunte diverse posizioni politiche dei due: Coppi, presunto comunista, Bartali democristiano).

 

Celebre nell'immortalare un'intera epoca sportiva - tanto da entrare nell'immaginario collettivo degli italiani - è la foto che ritrae i due campioni mentre si passano una bottiglietta durante una salita al Tour del 1952. Non si saprà mai chi "passava" la bottiglietta: Bartali, intervistato sulla questione, si rifiutò sempre di dare la sua versione del fatto.

 

Fausto Coppi nasce a Castellania, in provincia di Alessandria, il 15 settembre del 1919. I suoi genitori sono proprietari di un piccolo terreno con cui riescono a malapena a mantenere la famiglia. Fausto non ha nessuna intenzione di fare il contadino e a tredici anni fa il garzone in una salumeria di Novi Ligure. Nasce qui l'amore per la bicicletta. Fa la spola fra Novi e Castellania e viene segnalato a Biagio Cavanna, che gestisce una scuola di ciclismo e gli insegna il mestiere.

 

Nel 1940, al suo esordio al Giro d'Italia, vince fra la sorpresa generale. Ha 21 anni: Coppi era nel fiore della giovinezza quando il Duce chiamò il popolo italiano alle armi da palazzo Venezia; era il 10 giugno 1940 e Coppi fu richiamato alle armi per partecipare come fante della Divisione Ravenna alla campagna del Nord Africa, conobbe una lunga prigionia e non poté pedalare seriamente per molto tempo.

 

 

Il 7 novembre 1942 stabilisce il record mondiale dell'ora. Nel 1946, ingaggiato dalla Bianchi, vince la Milano-San Remo. L'anno dopo, il suo secondo Giro d'Italia. Diventa ricco. Ha le gambe lunghe e sottili, il torace ampio e lo sterno sporgente come un uccello. Sembra fatto apposta per completare la bici. Ma è, soprattutto, un eroe accessibile. Come scrive Gianni Brera, fa parte della razza dei contadini che diventano famosi senza mai riuscire a liberarsi da quel loro peccato originale, dai secoli di miseria e di umiliazione. Per questo l'Italia spera per lui.

 

E lui rivoluziona il sistema di preparazione del ciclismo agonistico. Nel 1949 vince tutto: la Milano-San Remo, i giri di Romagna, del Veneto e di Lombardia, il campionato italiano su strada e quello mondiale d'inseguimento. Ma soprattutto compie una delle più clamorose imprese di tutti i tempi: l'accoppiata Tour de France e Giro d'Italia. Nasce il mito del 'campionissimo'. Ripete la stessa impresa nel 1952, e nel 1953 vince il Giro d'Italia per la quinta e ultima volta. La sua carriera finisce qui, nell'Italia di Peppone e Don Camillo.

 

Vincenzo Maria D’Ascanio


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