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Gennaio 1960) Muore Fausto Coppi. A uccidere a quarant’anni “un uomo solo al
comando” è il virus della malaria. Il Giro del 1947, le grandi stagioni del
1949 e del 1952, il Mondiale del 1953, lo hanno reso un mito. Il campionissimo
se ne va, e il dolore per la sua morte accomuna tutti gli italiani.
Soprannominato "l'Airone" è considerato uno dei più grandi
e popolari atleti di tutti i tempi.
Formidabile passista, eccezionale scalatore, e dotato di un buono spunto veloce,
era un corridore adatto ad ogni tipo di competizione su strada. Leggendaria fu la sua rivalità con l'altro
campione Gino Bartali, che divise l'Italia nell'immediato
dopoguerra (anche per le presunte diverse posizioni politiche dei due: Coppi,
presunto comunista, Bartali democristiano).
Celebre
nell'immortalare un'intera epoca sportiva - tanto da entrare nell'immaginario
collettivo degli italiani - è la foto che ritrae i due campioni mentre si passano una
bottiglietta durante una salita al Tour del 1952.
Non si saprà mai chi "passava" la bottiglietta: Bartali, intervistato
sulla questione, si rifiutò sempre di dare la sua versione del fatto.
Fausto
Coppi nasce a Castellania, in provincia di Alessandria, il 15 settembre del
1919. I suoi genitori sono proprietari di un piccolo terreno con cui riescono a
malapena a mantenere la famiglia. Fausto non ha nessuna intenzione di fare il
contadino e a tredici anni fa il garzone in una salumeria di Novi Ligure. Nasce
qui l'amore per la bicicletta. Fa la spola fra Novi e Castellania e viene
segnalato a Biagio Cavanna, che gestisce una scuola di ciclismo e gli insegna
il mestiere.
Nel 1940, al suo esordio al Giro d'Italia, vince fra la sorpresa
generale. Ha 21 anni: Coppi era nel fiore della
giovinezza quando il Duce chiamò il popolo italiano alle armi da palazzo
Venezia; era il 10 giugno 1940 e Coppi fu richiamato alle armi per partecipare
come fante della Divisione Ravenna alla campagna del Nord Africa, conobbe una
lunga prigionia e non poté pedalare seriamente per molto tempo.
Il 7 novembre 1942 stabilisce il record mondiale dell'ora. Nel 1946,
ingaggiato dalla Bianchi, vince la Milano-San Remo. L'anno dopo, il suo secondo
Giro d'Italia. Diventa ricco. Ha
le gambe lunghe e sottili, il torace ampio e lo sterno sporgente come un
uccello. Sembra fatto apposta per completare la bici. Ma è, soprattutto, un
eroe accessibile. Come scrive Gianni Brera, fa parte della razza dei contadini
che diventano famosi senza mai riuscire a liberarsi da quel loro peccato
originale, dai secoli di miseria e di umiliazione. Per questo l'Italia spera
per lui.
E
lui rivoluziona il sistema di preparazione del ciclismo agonistico. Nel 1949
vince tutto: la Milano-San Remo, i giri di Romagna, del Veneto e di Lombardia,
il campionato italiano su strada e quello mondiale d'inseguimento. Ma
soprattutto compie una delle più clamorose imprese di tutti i tempi:
l'accoppiata Tour de France e Giro d'Italia. Nasce il mito del 'campionissimo'.
Ripete la stessa impresa nel 1952, e nel 1953 vince il Giro d'Italia per la
quinta e ultima volta. La sua carriera finisce qui, nell'Italia di Peppone e
Don Camillo.
Vincenzo Maria D’Ascanio
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