(04 Gennaio 1947) 75 il segretario
della Camera del lavoro di Sciacca, Accursio Miraglia, viene assassinato dalla
mafia, poco distante dalla porta della sua abitazione. Il sindacalista entra
nel mirino del braccio armato dei grandi latifondisti perché voleva che fossero
assegnate ai contadini poveri le terre incolte, e suddividere così le grandi
proprietà terriere.
A volere la sua morte
però non è stata solo la mafia. La mafia ha sparato, ma l’omicidio di Accursio
Miraglia è gemellato con la strage di Portella della Ginestra. Molti
documenti riportano il fatto che, da parte dell’America, ci fu il tentativo di
silenziare la strategia comunista. Il tutto nacque col patto di Yalta e la
divisione del mondo in Oriente e Occidente, da un lato la Russia e dall’altro
Gli Stati Uniti.
L’Italia, terra degli
americani, stava di fronte a Grecia e Albania, ad un passo dal blocco orientale. Il
confine era l’Adriatico e il luogo ideale per piazzare gli armamenti americani
era proprio la Sicilia, che al tempo però era comunista e quindi rappresentava
un pericolo. Il problema andava risolto e la mafia, durante quegli anni, è stata
manovalanza utile per controllare il territorio, infatti finita la guerra
tutti i capimafia divennero sindaci dei rispettivi paesi.
In questo quadro deve essere
inserita l’azione di uomini come Accursio Miraglia, sostenitore del Comitato di
Liberazione di Sciacca congiuntamente a un grande uomo saccense, il futuro
senatore della Repubblica Pippo Molinari, creando con lui i comitati d'intesa
democratica. È in questo periodo che Miraglia cominciava a diventare parte
attiva della vita politica sia provinciale che locale, partecipando alla
costruzione del Partito Comunista Italiano.
Egli riuscì a creare e a
dirigere la prima Camera del Lavoro siciliana, nata appunto a Sciacca.
Organizzata affinché potesse sostenere lo spirito comunitario e i diritti dei
lavoratori, la Camera del Lavoro saccense fu un esempio, così come lo era stato
il Comitato Antifascista di Sambuca di Sicilia, per i nascenti sindacati e
sindacalisti che purtroppo avranno un futuro pieno di lacrime e ingiustizie.
Uomini come Miraglia e Domenico Cuffaro (presidente del Comitato Antifascista
di Sambuca e futuro dirigente della Camera del Lavoro saccense) crearono i
presupposti del risveglio del popolo siciliano, e le loro lotte ebbero eco in
tutta l’isola e oltre.
Non approfittò mai della
sua posizione, il suo ultimo incarico fu quello di presidente dell'ospedale di
Sciacca e anche lì seppe agire in maniera onesta, diventando un esempio di
diligenza e integrità.
I medici, le suore e gli infermieri, la sera del suo assassinio, ricambiarono
l'affetto permettendo alle sue spoglie di rimanere intatte per quattro giorni.
Le veglie funebri furono due, una organizzata presso l'ospedale, l'altra presso
la sede della Camera del lavoro.
Alla base del monumento dedicatogli
dal popolo di Sciacca, ideato dal noto pittore e scultore Filippo Prestia, vi è
una frase dello stesso Miraglia, che richiama il valore della fratellanza, che
nella società odierna tanti, troppi non considerano più realizzabile in una
società dominata dal materialismo e dall'individualismo. La frase, riportata in
un lavoro del nipote di Miraglia, dice: «Io non impreco e non
chiedo alcuna punizione. Io che ho tanto amato la vita, chiedo ad essa di
vedere pentiti coloro che ci hanno fatto del male».
Ecco anche il suo ultimo importante
monito che diede all'ultimo comizio che tenne a Sciacca: «La forza dell'uomo
civile è la legge, la forza del bruto e del mafioso è la violenza fisica e
morale. Noi, malgrado quello che si sente dire di alcuni magistrati, abbiamo
ancora fiducia nella sola legge degli uomini civili, che alla fine trionfa
nello spirito dell'uomo che è capace di sentirne il “Bene”.
Temiamo invece la violenza, perché
offende la nostra maniera di vedere e concepire le cose. Lungi dalla perfezione
e dall'infallibilità, siamo però in buona fede, e non cerchiamo altro che la
possibilità di ripresa della nostra gente e in altre parole di dare il nostro
piccolo contributo all'emancipazione e alla dignità dell'uomo. È solo questo il
filo conduttore che ci ispira e ci porta nel rischio. Non è colpa nostra se
qualcuno non lo arriva a capire: non arrivi a capire, cioè, che ci sia, ogni
tanto, qualcuno disposto anche a morire per gli altri, per la verità per la
giustizia. Attento però a questo qualcuno che da sprovveduto e morto non
diventi un simbolo molto ma molto più grande e pericoloso.»
Queste sono le parole che il figlio
di Accursio Miraglia ha rilasciato in una recente intervista concessa a “La
Repubblica”
“Purtroppo, per cinquant’anni, ho
visto passeggiare l’assassino di mio padre in giro per Sciacca. La nostra è
un’Italia dove la verità non viene mai resa nota e quindi io sono sempre in
prima fila per raccontarla e per raccontare Accursio Miraglia, la sua storia, i
suoi sogni e la sua lotta. Ho una grande responsabilità, ma che porto con molto
orgoglio. Mi faccio testimone della storia di mio padre, di un uomo che ha
dedicato la sua vita agli altri.
Sapeva che lo avrebbero ammazzato.
Quando mia madre gli diceva “Ma Accursio tu hai tre figli” lui le rispondeva “Sì,
hai ragione, ma oltre a tre figli ho tutti i poveri della Sicilia, devo pensare
anche loro” e al suo “Sì ma ti uccideranno”, Accursio rispondeva “Sì,
uccideranno me, ma non la mia storia”. Infatti, tutt’ora esiste la cooperativa
Madre Terra, una scuola porta il suo nome, così come molte strade e tanti sono
i modi in cui viene ricordato. Nella zona alta di Sciacca, dove vivono i vecchi
contadini, alla domanda “chi era Accursio Miraglia?” loro rispondono piangendo.
In loro e in tutta la città, infatti, il ricordo di mio padre è ancora
indelebile, perché Accursio Miraglia oggi è ancora un simbolo.
Vincenzo Maria D’Ascanio.
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