domenica 1 agosto 2021

La paradossale vicenda di Adriano Soffri. Sa babbaiola.


 

(01 Agosto 1942) Nasce a Trieste Adriano Sofri. Il padre, di origine meridionale, era nella Marina Militare mentre la madre triestina era insegnante. Ha un fratello maggiore, Gianni, storico e saggista, e una sorella, Stella. Trascorse l'infanzia a Taranto, poi a Milano, Palermo e Roma, dove studiò al liceo classico Virgilio.

 

Fu attivo nella sinistra operaista sin dai primi anni sessanta (collaborò alla rivista Classe operaia), fu tra i fondatori del movimento "Il potere operaio pisano", per poi fondare la formazione extraparlamentare comunista "Lotta Continua", di cui fu uno dei leader principali fino al suo scioglimento nel 1976. Nel marzo 1963, Palmiro Togliatti a era a Pisa, e raccontò agli studenti il suo rientro in Italia e la svolta di Salerno, riferendo che «il generale MacFarlane si meravigliò con me che il Pci non volesse fare la rivoluzione».

 

L'allora sconosciuto Sofri intervenne affermando che «ci voleva l'ingenuità d'un generale americano per pensare che un partito che si proclamava comunista volesse il comunismo», al che il segretario comunista ribatté: «Devi ancora crescere. Provaci tu, a fare la rivoluzione», e Sofri concluse: «Ci proverò, ci proverò».

 

Un evento diede una scolta definitiva alla sua vita: la bomba che scoppiò il 12 dicembre del 1969 alla Banca Nazionale dell'Agricoltura in Piazza Fontana, a Milano. Nell'attentato morirono sedici persone. Polizia, carabinieri e governo accusarono, sbagliando, gli anarchici.

 

Dopo varie indagini, venne convocato in questura per un colloquio un semplice ferroviere di nome Giuseppe Pinelli, esponente dell'area anarchica milanese. Purtroppo però, durante una drammatica notte di tre giorni dopo, durante uno dei tanti interrogatori a cui era stato sottoposto, Pinelli morì "misteriosamente" sfracellato nel cortile della questura. Lotta Continua scatenò una violenta campagna di propaganda contro Calabresi. Sofri stesso sul suo giornale cercava in ogni modo di costringere il commissario alla querela, unico strumento, secondo il leader di Lotta Continua, per aprire un'inchiesta sulla morte dell'anarchico.

 

Calabresi querelò effettivamente Lotta Continua e, nel 1971, cominciò il processo. Poliziotti e carabinieri furono chiamati a testimoniare, ma mentre il processo volgeva al termine, al giudice istruttore fu tolta la causa poiché l'avvocato di Calabresi sostenne di aver sentito il giudice dichiarare di essere convinto della colpevolezza del commissario. Date queste premesse, dunque, era impossibile andate avanti e il processo si sgonfiò.

 

La mattina del 17 maggio 1972, il commissario Calabresi fu ucciso per strada, sempre a Milano. Lotta Continua diventa immediatamente la sospettata numero uno. Nel 1975 fu eseguito un nuovo processo che si concluse con la condanna di LC per aver "diffamato" il commissario Calabresi. Arrestato e rilasciato dopo pochi mesi nel 1988, fu condannato nel 1990, e nel 1997 in via definitiva, insieme a Pietrostefani e Bompressi, come mandante dell'omicidio Calabresi, in seguito alla confessione e testimonianza di Leonardo Marino (ex-militante di Lotta Continua); Sofri si è sempre dichiarato estraneo alla vicenda e non ha mai presentato richiesta di grazia, che pure è stata invocata da diversi giornalisti e intellettuali.

 

Negli anni del carcere Sofri ha scritto molto; una breve, ma assai intensa, rubrica quotidiana sul Foglio (Piccola posta, sul quotidiano fondato dall'amico Giuliano Ferrara), una collaborazione regolare con Repubblica e la rubrica "Dopotutto" sull'ultima pagina di Panorama, interrotta quando Maurizio Belpietro è diventato direttore del settimanale.

 

Nel 2015 ha cessato la sua collaborazione con la Repubblica dopo che Ezio Mauro ha annunciato l'imminente termine della sua direzione del giornale; al posto di Mauro è divenuto direttore Mario Calabresi, il figlio del commissario Calabresi. Mario Calabresi e Sofri si erano già stati colleghi a Repubblica, pur senza vedersi mai di persona al di fuori di due fugaci incontri.

Sa babbaiola


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