martedì 10 agosto 2021

Violenza chiama violenza. Martiri e carnefici a Piazzale Loreto. Di Vincenzo Maria D’Ascanio.


 

 (10 Agosto 1944) “Il sangue di Piazzale Loreto lo pagheremo molto caro”. Queste furono le parole pronunciate da Benito Mussolini dopo l’esecuzione, nel famoso piazzale milanese, di un gruppo di 15 persone tra partigiani e antifascisti, prelevati dal carcere di San Vittore e uccisi all’alba del 10 agosto 1944. Un’esecuzione voluta come rappresaglia per l’attentato a un camion tedesco avvenuto pochi giorni prima, in viale Abruzzi, dove peraltro nessun tedesco rimase ucciso. Nello stesso attentato persero la vita, invece, 6 cittadini milanesi. Dopo la fucilazione da parte di un plotone formato dai repubblichini della legione “Ettore Muti”, i cadaveri rimasero esposti al pubblico. Un destino che si ripeterà il 29 aprile del 1945, quando i cadaveri saranno quelli del Duce, di Claretta Petacci e di 15 gerarchi fascisti: le parole di Mussolini, si trasformeranno in una profezia.

 

Solo sapendo di questa vile rappresaglia si possono comprendere i fatti che accaddero in seguito. Il 29 Aprile il corpo di Mussolini fu portato a Piazzale Loreto perché in quella stessa piazza, dieci mesi prima, erano stati assassinati quei 15 partigiani, ma non fu il solo martirio dei 15 che scatenò l’indignazione popolare.

 

Infatti i loro corpi furono lasciati sotto il sole per tutta la mattina del 10 Agosto 1944 per essere portati via solo alla sera, interamente ricoperti di mosche. I Nazisti obbligavano i civili a passare per lo stesso piazzale, affinché potessero vedere i corpi (di questo ci resta la tragica testimonianza del poeta Loi). Per altro la fucilazione fu preceduta da torture e umiliazioni di ogni genere, e ciò causò non tanto la paura dei milanesi, quanto l’odio verso i nazisti e di conseguenza i fascisti (la Brigata Ettore Muti, di fatto, agiva su ordine delle SS)

 

Quando sento parlare dei fatti del 29 Aprile spesso m’imbatto nel seguente paradosso: si considera un fatto, o talvolta un'immagine, la si decontestualizza da anni e anni di crimini e puro tormento, e si disegna una dinamica da follia collettiva. Non si considera un elemento incontestabile: a ogni fatto x, corrisponde una reazione y, se si vuole davvero comprendere una vicenda, occorre documentarsi sui fatti antecedenti, ovvero il suo contesto storico. Questo esercizio non deve essere fatto per giustificare, ma per interpretare correttamente e separare fatti dettati da logiche differenti, che non possono essere collocati nello stesso calderone.

 

Detto questo, non si può giudicare quanto avvenuto in Piazzale Loreto come un atto compiuto dai partigiani. Questa resta la critica più sconcertante che talvolta ascolto anche nei principali mass media. Non esiste nessun ordine o direttiva del CLN in tal senso, il vilipendio dei cadaveri è stata una reazione di un popolo infuriato. Basterebbe pensare a quanti linciaggi avvennero nelle fasi antecedenti o postume alla liberazione: tuttavia la giustizia privata non può essere legata alle motivazioni politiche, bensì a ragioni strettamente individualiste. Questa è una costante delle guerre civili, ma coloro che cercano di adombrare la Resistenza imputandogli fatti anche sconcertanti, dovrebbero rifarsi solo agli ordini scritti, perché solo dagli ordini scritti può emergere la volontà storica, giuridica e politica. La stessa violenza è stata volontariamente determinata dal Comitato di Liberazione Nazionale, ma era una violenza dettata dalla necessità, non da sentimenti di pancia come la vendetta o la violenza per la violenza.

 

Vincenzo Maria D’Ascanio.

 

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