Gli argomenti sono quelli: il deposito nazionale delle scorie nucleari in Sardegna costituirebbe un rischio ambientale, nuocerebbe all'immagine turistica dell'isola, sarebbe un danno per il patrimonio storico e archeologico cui andrebbero aggiunti i pericoli del trasporto via nave, con l'incognita terrorismo e la certezza di aver ampiamente pagato allo Stato un prezzo altissimo con la massiccia presenza militare.
L'altra faccia della questione, già sbrigata
con un referendum popolare in cui il 98 per cento dei sardi ha detto no, sono i vantaggi economici garantiti in cambio di un assenso per la Sogin privo di sorprese: l'impianto, ha spiegato il direttore del deposito nazionale e parco
tecnologico Fabio Chiaravalli, è del tutto passivo, non produce fumi, rumore,
emissioni, rilasci e non insidierebbe la salute e le ricchezze del territorio sardo,
indicato nel Cnapi - carta nazionale dei siti potenzialmente idonei a ospitare
il deposito nazionale dei rifiuti nucleari – ma probabilmente fuori dal giro
del Cnai, la carta che stabilirà quali sono i siti idonei.
C'è tempo per decidere: «Siamo ancora
lontani dall'aver individuato il sito» ha ribadito Chiaravalli. Un richiamo che non
sembra destinato a spegnere il dibattito su un tema molto sentito dell'isola, come la partecipazione
via streaming di 17 stakeholder
al Seminario nazionale dedicato ieri all'ascolto della Sardegna e le 122 osservazioni piovute
sulle scrivanie dei tecnici Sogin - il 38% del totale nazionale - testimoniano. Al seminario si sono sentite solo voci contro tranne una, quella del docente
di fisica Paolo Randaccio: «Pensateci bene, la politica ha
informato male i cittadini
sardi e li ha condizionati con opinioni a senso unico. Sono 150 ettari da vendere, quattromila posti
di lavoro e poi altri 700, un polo di attrazione per la comunità scientifica e occasioni per i laureati. Dicano almeno una cosa, devono
decidere i Comuni oppure la Regione?».
Un'opinione contro corrente, pesantemente
rintuzzata dal presidente dell'Anci Emiliano Deiana: «Non ha deciso la
politica, ma siamo di fronte a una sequenza di pronunciamenti popolari liberi,
col rinnovato sospetto che le aree più fragili e abbandonate non siano state
indicate a caso».Un "no" unanime è arrivato da
sindaci e rappresentanti
di associazioni, intervenuti per confermare la linea di netta opposizione espressa ancora una volta
ieri dal presidente Christian
Solinas in una nota e illustrate al seminario da
Gianluca Atzori: «La Sardegna - ha ripetuto Solinas - si è già espressa con un referendum,
è un no irrevocabile al deposito nazionale».
Fra gli altri sono intervenuti Alessandro
Arru, di Isde-medici per l'ambiente («andremmo incontro a un carico radiologico
ingiustificato rispetto alla penisola, dove vengono prodotte le scorie»),
Giorgio Querzoli di Legambiente («manca del tutto un'analisi dei rischi
idrogeologici»), Bustiano Cumpostu («la Sardegna è il più grande museo
archeologico all'aperto del mondo, non possiamo metterlo a rischio»).
La massima contrarietà al progetto è stata
espressa anche dai sindaci Paola Casula (Guasila), Maria Cristina Ciccone
(Mogorella), Martino Picchedda (Turri), Andrea Soriga (Unione comuni Marmilla)
e Manuela Pintus (Arborea), mentre per il comitato No Scorie hanno parlato
anche Giorgio Canetto, Marco Marrocu, Lino Zedda, Sara Nicole Cancedda, Sandro
Marchi e Giulio Porcu.
di Mauro Lissia (La Nuova Sardegna, 29.09.2021)
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