Ieri sul lavoro sono morte sei persone, dall’inizio dell’anno sono
stati 677, una media di 2,5 decessi al giorno. Gli infortuni sul lavoro sono
oltre 1.500 ogni giorno,
quasi una media costante negli anni, non sono una ineluttabilità di un destino
crudele, ma sono il risultato di una imprenditoria criminale che misura la
capacità di profitto in proporzione alla diminuzione del costo del lavoro, dei
diritti contrattuali e della sicurezza sul lavoro.
A ciò si aggiunge il ruolo colpevole della politica che rende più
agevoli le forme di pirateria e rapacità imprenditoriali e la fuga dalle
responsabilità delle aziende. Infatti il numero degli ispettori preposti ai
controlli dei luoghi di lavoro sono in esaurimento, perché quelli che vanno in
pensione non vengono sostituiti; al punto tale che in Italia ci sono interi
territori senza vigilanza, e ciò significa lasciare mano libera agli evasori,
al lavoro nero, allo sfruttamento della manodopera, all’assenza delle norme
basilari di sicurezza sul lavoro.
Problema che si è accentuato dopo l’entrata in vigore del Jobs Act
di Renzi, di cui la Legge delega n. 183 del 2014, all’interno della quale
era prevista l’Agenzia unica della Vigilanza, che per altro blocca ogni
assunzione per i corpi ispettivi dell’Inps e dell’Inail; riforma del lavoro che ha istituzionalizzato il precariato,
indebolito gli strumenti di controllo dell’attività delle imprese e che,
nonostante i danni prodotti, è ancora in vigore.
Per
parte sua, la Asl, dispone di 2.500 ispettori, una sciocchezza rispetto al
fabbisogno, ora dovrebbero assumerne altri 2000, ma le Asl dipendono dalle
regioni e sulla loro attività decide la politica regionale, i cui effetti sulla salute dei cittadini l'abbiamo vista
all'opera nelle privatizzazioni della Sanità pubblica e la corruzione accertata
nel settore, nella gestione preda delle logiche spartitorie tra i
partiti, di manager che rispondono alle segreterie e non ai bisogni sanitari
dei territori; sanità, come si osserva costantemente, dove mancano i medici,
gli infermieri, i reparti e le terapie intensive. No,
sul lavoro non si muore per fatalità.
Di
Giovannimaria – Mimmia - Fresu
giornalista pubblicista presso Politiche sociali e immigrazione
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