Questa è
una di quelle classiche contrapposizioni che non ho mai afferrato, e in questo
caso Don Gallo inquadra il problema nel migliore dei modi. Nella vita a tutti
sarà capitato di agire positivamente nei confronti di chi versa in condizione
di necessità: dare delle monete, cercare vestiti o altri beni di prima
necessità e altre azioni del genere. Quando mi è capitato di compierle nessuno
ha avuto mai da ridere, insomma, la solidarietà verso chi ha meno è sempre
vista di buon occhio, forse motivata anche da un’educazione cattolica che, soprattutto
negli anni dell’infanzia o adolescenza, molti hanno conosciuto.
Tuttavia,
la polemica si accende e si fa rovente, quando dico di essere comunista. Per me
essere comunista significa desiderare
una forma di Stato che stia attenta agli indigenti, o a tutti coloro che per un
motivo o per l’altro abbiano urgenza di
un aiuto economico.
Insomma, il
compito principale del di uno Stato comunista (o, se vogliamo, social
democratico) è quello di lottare contro la povertà, detto nella maniera più
semplice possibile. Naturalmente da questo presupposto nascono dei diritti più
specifici, come il diritto all’istruzione, il diritto di ricevere cure adeguate
e gratuite, il diritto a un lavoro dignitoso, il diritto a essere adeguatamente
difesi davanti a un giudice, solo per citarne alcuni. Questi sono diritti che
sono stati già scritti nella nostra Costituzione ma restano lettera morta.
Consideriamo il diritto alla difesa giuridica: come può essere considerato
sullo stesso piano chi ha un avvocato d’ufficio, nei confronti di chi può
permettersi uno stuolo di avvocati?
Insomma,
per me sostenere i partiti comunisti è questo, come lo è per la maggior parte dei
compagni. Ovvero credere in una solidarietà che non arriva (solo) dal pur
apprezzabile gesto del singolo, ma sia piuttosto patrimonio dell’intera
collettività, dove tutti i cittadini sono in grado di riconoscersi nel prossimo
e nelle alterne vicende della vita. In conclusione, “essere comunisti” può
nascere anche da un mero impulso egoistico, ovvero nel riconoscere l’incertezza
di ogni esistenza, e come conseguenza investire sulla possibilità che
nonostante la sfortuna sia dietro l’angolo, ci sarà sempre uno Stato che
salvaguarderà le nostre pur minime esigenze.
Vincenzo Maria
D’Ascanio
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