(31 Ottobre 1973) Viene emanato l'ordine di cattura per il generale Vito Miceli, in quel
periodo direttore del SID (servizio Informazioni della Difesa, ovvero
il servizio segreto italiano) e soprattutto membro dell’oscura organizzazione de "La rosa
dei venti." L'accusa è grave: si tratta di cospirazione. La Rosa dei venti era un'organizzazione segreta i cui membri erano prossimi
alla destra eversiva e stragista. Soprattutto era strettamente legata agli
ambienti militari: fu individuata dalla magistratura di Padova nel 1973, dal magistrato Giovanni Tamburino.
Che
Miceli fosse vicino agli ambienti neofascisti lo dimostrano anche le successive
elezioni al Parlamento, dove fu eletto nelle file del Movimento Sociale
Italiano e della Destra Nazionale. Tuttavia questi erano partiti che bene o
male si collocavano all’interno dell’arco costituzionale. La "Rosa dei Venti" era ben altra cosa, ben più pericolosa per le istituzioni democratiche.
Intanto
nei mesi successivi Tamburino ordinò gli arresti di personaggi di spicco, tra
politici, imprenditori e membri dell’esercito, tra cui appunto, ma la Corte di Cassazione renderà vano il lavoro del magistrato portando al
trasferimento dell'inchiesta dalla città veneta a Roma, considerata il "Porto
delle nebbie," preso atto che nell’ambito di
quella procura molte inchieste scottanti finivano in un nulla di fatto,
talvolta con vistosi insabbiamenti. Per non smentirsi, il pubblico Ministero
Claudio Vitalone arriverà ad invocare il segreto di Stato. Sulla questione calerà
quella fitta nebbia caratteristica di troppe inchieste riguardanti anche lo
stragismo.
Arnaldo
Forlani, a La Spezia nel novembre 1972, disse pubblicamente che vi erano prove
che la vicenda fosse «il tentativo forse più pericoloso che la destra
reazionaria abbia tentato e portato avanti dalla Liberazione ad oggi». In
effetti, e nonostante i numerosi tentativi di depistaggio, la Rosa dei Venti è
stata legata al tentativo di un colpo di Stato avvenuto nel 1973, tentativo
passato alla storia col nome di "Golpe Borghese." Il principe Junio Valerio Borgehse, chiamato "il principe nero" era l’uomo di spicco dell’intera vicenda di
matrice neoatlantica, che vedeva coinvolta la CIA (il cui compito era quello di sospingere l’Italia verso forme di governo
autoritarie, in modo da limitare la forza del più forte Partito Comunista
dell’occidente, Il PCI guidato da Enrico Berlinguer). Il "principe" Junio Valerio Borghese, durante la II guerra
mondiale, era a capo della X MAS, ovvero
la formazione repubblichina che si macchiò dei più efferati crimini contro la
Resistenza Italiana. Tuttavia questa è un'altra storia.
Il "Golpe
Borghese" era sostenuto da alcune strutture organizzate come la "Rosa
dei Venti," la CIA e probabilmente da altre sottostrutture come "Gladio,"
organismo paramilitare che aveva il compito d’intervenire se, nelle elezioni
democratiche, si fosse imposto il Partito Comunista. Tuttavia Borghese non
aveva intenzione d’aspettare un simile evento, dunque spinse affinché dal 1973 il potere fosse gestito dall’esercito, sotto le
mentite spoglie di un governo presidenzialista di stampo atlantista.
Il Golpe non
ebbe seguito, e molti parlarono addirittura di una buffonata, quando in realtà
poco c’era da ridere, considerato che si stava preparando un bagno di sangue. A questo punto occorre analizzare la società italiana del periodo. Stiamo
parlando di una società che solo da 23 anni era uscita a pezzi da una guerra,
che tra l’altro aveva avuto al suo interno una guerra civile. In ogni dove erano reperibili armi, spesso
nascoste nei luoghi più impensabili (nelle montagne, nei boschi sino ad
arrivare ai sotterranei dei ministeri).
Quelli erano
gli anni delle stragi fasciste e del terrorismo rosso, entrambi verso il
proprio apice. Erano anni in cui il Partito Comunista
viaggiava intorno al 30%, senza contare quei movimenti che optavano per una
sinistra extraparlamentare. La domanda che dobbiamo porci è: se mai ci fosse stato un golpe, gli italiani sarebbero rimasti a guardare? Un popolo i cui giovani erano per la stragrande maggioranza di sinistra
ed estrema sinistra, i cui genitori avevano combattuto spesso nelle file della
resistenza...
Nella
notte tra il sette e l’otto dicembre cominciò la mobilitazione del colpo di
Stato. Si misero in moto numerosi apparati dell’esercito, e tra questi la
forestale. I compiti erano ben individuati, i due più importanti erano
probabilmente l’arresto del Presidente della repubblica Saragat e l’occupazioni
delle sedi RAI. Addirittura c’è chi vide passare una corro armato presso la
stazione Tibutrtina.
Tuttavia,
dopo breve tempo, ci fu un richiamo all’ordine, e i golpisti rientrarono nei
propri ranghi. Un misterioso "aut aut" che mandò per aria il colpo di
Stato, e con loro i miliari che avevano giurato fedeltà alla repubblica,
imprenditori finanziatori, giornalisti che sarebbero stati la cassa di
risonanza del regime. Da chi arrivò questo stop? Le notizie non sono sicure,
fatto tipico della democrazia italiana non solo di quei tempi. Le principali
figure indicate furono Licio Gelli (il famoso capo della Loggia Propaganda Due)
e addirittura Giulio Andreotti, che come sappiamo era il luogotenente degli
Stati Uniti in Italia. Tuttavia, queste restano solo delle ipotesi.
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