giovedì 2 dicembre 2021

L’Italia e le sue opere incompiute. Di Vincenzo Maria D’Ascanio.

Quando sento che in Italia non ci sono soldi, penso a opere pubbliche come questa. Un ponte di pochi metri che non collega nulla, non ci sono due strade alle estremità, ma delle case di un normale quartiere di Messina. Tra l'altro questo ponte, che sarebbe dovuto costare pochi milioni di euro, alla fine è costato una cifra esorbitante, otto, nove volte la cifra preventivata. Guardate la tracotanza con cui s'inserisce nel quartiere, come se gli ideatori di questa cosa pesassero: "Tanto non la si può notare, non lo vedrà nessuno."

 

“In fondo tutte le cose, anche le peggiori, una volta fatte, poi trovano una logica, una giustificazione, per il solo fatto di esistere… dopo un po’ tutto fa parte del paesaggio, c’è, esiste, nessuno si ricorda come era prima, non ci vuole niente a distruggere la bellezza” diceva Peppino impastato, interpretato nel film "I cento passi" da Luigi Lo Cascio. Ovvero tu hai una bella visuale, un bel paesaggio naturale, poi qualcuno ci costruisce qualcosa d'immensamente brutto, e tu lentamente non lo noti più, diventa qualcosa di riconoscibile e accettato. Come il Palazzo del Consiglio Regionale Sardo in Via Roma, a Cagliari.

 

Quando dal mare arrivi in città respiri la bellezza dei quartieri accanto al porto, poi vedi il Consiglio Regionale, ed è come se qualcuno ti avesse messo il classico bastone nel sedere. Avete presente Pasolini, quando inquadra quel borgo sulla collina, e sposta la telecamera lentamente, per mostrare un mostro ecologico? Provate a fare lo stesso, chiudete un occhio e mettete la mano sul Consiglio Regionale, fatelo apparire e poi fatelo sparire, continuamente. Purtroppo il palazzo del Consiglio Regionale della Sardegna è stato compiuto sino all’ultimo mattone.

 

La seconda opera è una chicca, che ho inserito varie volte e dovunque ho potuto per urtare le persone più sensibili. Talvolta ho pensato persino di tatuarmelo sul braccio. Sto parlando del grandioso campo da polo di Giarre. Sì, quello non è un campo realizzato per il calcio, ma un campo da polo, “uno sport di squadra in cui due formazioni di quattro giocatori, in sella a cavalli e muniti di stecche di bambù, si fronteggiano con l'obiettivo di mandare una palla di legno attraverso due pali. Vince la squadra che segna più punti.” Nella mia vita non ho mai partecipato a una partita di polo, non ne ho mai vista una e non conosco nessuno che vi abbia giocato. È lo sport praticato dai reali britannici, e la capienza dello stadio sarebbe stata di 25.000 spettatori, ovvero ogni cittadino di Giarre, (bambino, anziano, etc...) aveva il suo posto assicurato nello stadio del polo.

 

Se io dovessi cambiare residenza, sceglierei senz’altro Giarre. In questo paesino siciliano di 25.000 abitanti, si ha il record delle opere incompiute, una ogni mille abitanti. Un’amministrazione voleva anche riutilizzare quelle opere, inaugurando il parco dell’incompiuto, ma l’idea non è stata considerata dall’amministrazione siciliana. Tuttavia ciò che maggiormente m’incuriosisce è il seguente fatto: per abbattere quella struttura occorre un altro finanziamento regionale, perché anche i costi di demolizione sono molto alti.

 

Erano i pazzi anni a cavallo tra il 1960 e il 1980. Un ventennio dove la Democrazia cristiana spadroneggiava in tutta l’Isola (e non solo) e ottenere un finanziamento era relativamente semplice. Un tempo si praticava il finanziamento a “stralci”: in pratica se un’opera costava, poniamo, 2 milioni di euro, la Regione o lo Stato non stanziava immediatamente l’intera cifra, ma solo parte di essa, il resto sarebbe arrivato a lavori in corso. Tuttavia la cifra non arrivava mai, per questo in tutto lo stivale abbiamo le opere incompiute.

 

Tuttavia non voglio dire che le opere incompiute esistano solo in Sicilia, perché anche in Sardegna abbiamo delle fantastiche opere incompiute. No so, voi pensate al vostro piccolo paese o alla vostra città, di certo troverete qualcosa. Campi da golf a metà, strade iniziate che non saranno mai finite, interessanti opere ingegneristiche di cui non si comprende nemmeno lo scopo, come se fossero delle opere moderne.

 

Poi tanti atri esempi. I 29 interminabili chilometri per congiungere Ferrandina a Matera, unico capoluogo italiano non raggiunto dalle ferrovie nazionali. Lavori cominciati nel ‘86, treni non ancora pervenuti dopo 25 anni, ovvero 22 più di quelli necessari a Ferdinando II di Borbone per inaugurare nel 1839 la Napoli-Portici, prima linea ferroviaria italiana. L’idrovia tra Milano e Cremona (65 chilometri) progettata nel 1911 e presentata come l’idea del secolo, ferma a Pizzighettone un secolo e 13 chilometri dopo. La strada fantasma Fano-Grosseto, sognata da Fanfani: dopo quasi 50 chilometri, con soli sei chilometri realizzati, attende il passaggio della prima auto. E così dighe, alberghi, palasport, ponti, parchi, scuole, anfiteatri, stazioni dei carabinieri... Trecentosessanta opere pubbliche sparse per l’Italia, ettari ed ettari di territorio scempiato. Alcune necessarie, altre inutili. Tutte, comunque, incompiute.

 

La cifra spesa per costruire queste “cose?” Si parla di 4000 miliardi di lire degli anni ’70 e ’80. Direte voi, adesso penseranno a ultimarle... no, la stragrande maggioranza delle volte è impossibile, perché quelle costruzioni sono ormai inservibili, non avendo mai avuto manutenzione. Per questo i muri hanno subito delle infiltrazioni che li rendono a rischio di crollo, insomma, sono totalmente inservibili. Negli spogliatoi dello stadio di Giarre sono stati portati via infissi, mattonelle, sanitari e tutto ciò che c’era da rubare.

 

Tra l’altro, c’è un secondo modo per sperperare i soldi pubblici. Talvolta queste cattedrali nel deserto, che nessuno utilizza anche se completate (magari, perché non sono state costruite vie d’accesso) subiscono interventi di manutenzione per migliaia se non milioni di euro. Dunque, si costruisce l’opera inutile, non la si utilizza, si ruba tutto sino al rame. A un certo punto l’amministrazione X si sveglia, fa opere di manutenzione, la re - inaugura, e dopo qualche settimana tutto viene puntualmente rubato, distrutto, cancellato, in attesa della prossima ristrutturazione.

 

Qualcuno potrà dire: va bene, ma almeno l’impresa Y ha lavorato, e ha avuto la possibilità di riassumere lavoratori, ingrandirsi, etc... il problema è anche questo, molte di queste opere non sono state affidate attraverso limpide procedure d’appalto, ma attraverso metodi definibili tranquillamente come mafiosi, perché non importa chi vincerà il bando, poiché a godere di quei soldi saranno sempre le stesse poche “Famiglie” del territorio, impossessandosi con metodi ricattatori dell’opera (inoltre non dimentichiamo che ogni opera pubblica può sempre trasformarsi in un grande bacino di voti). Inoltre quei soldi si potevano utilizzare per costituire del lavoro concreto, stabile, per esempio comprando beni produttivi, formando cooperative, oppure realizzando le idee dei ragazzi del territorio, che vengono puntualmente ignorate.

 

Dunque? Oltre ad accertare e punire i responsabili dello spreco (cosa che sembrerebbe facile, ma non è), occorrerebbe domandarsi cosa possiamo fare di queste opere. Nel 2007 un gruppo di deputati ha presentato una proposta di legge per favorirne «il recupero e il riutilizzo». Il testo prevede l’istituzione di un’anagrafe nazionale delle opere incompiute, aumenti di cubature fino al 30% e incentivi economici per coinvolgere i privati, introducendo il divieto per le amministrazioni di progettare nuovi edifici se prima non completano quelli precedenti. L’idea in effetti potrebbe essere buona, tuttavia se dal 2007 non è stata raccolta, un motivo ci sarà. Non credo troppo alle coincidenze.

 

Vincenzo Maria D’Ascanio

 

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