"Un
uomo solo è al comando, la sua maglia è bianco-celeste, il suo nome è Fausto
Coppi". (Mario Ferretti, radiocronista)
(02
Gennaio 1960) Muore Fausto Coppi, uno dei più grandi ciclisti di tutti i tempi.
Ha soltanto quarant’anni.
A uccidere “l’uomo solo al comando” è il virus della malaria, contratta
dopo una battuta di caccia in quello che allora era chiamato “Alto Volta” (poi
divenuto “Burkina Faso”). Il Giro del 1947, le grandi stagioni del 1949 e del
1952, il Mondiale del 1953, lo hanno reso una leggenda,
in un momento in cui l’Italia aveva la necessità di “eroi positivi”. Il
campionissimo se ne va per un banale errore medico, e il cordoglio per la sua
morte accomunò un’intera nazione.
Soprannominato
"l'Airone", Coppi è considerato uno dei più grandi e popolari atleti
non soltanto del ciclismo ma di ogni sport. Tra le sue qualità sportive si
ricordano soprattutto le formidabili “scalate” nei passi di montagna più
faticosi, dove era in grado di distaccare i suoi rivali con un viso sereno,
come se non sentisse una fatica che probabilmente era terribile.
La
sua rivalità con l'altro campione italiano, Gino Bartali, divise il popolo
italiano nell'immediato dopoguerra (anche per le presunte posizioni politiche
dei due: Coppi definito comunista, Bartali, democristiano). Celebre
nell'immortalare un'intera epoca sportiva è la foto che ritrae i due
campioni mentre si passano una bottiglietta d’acqua, mentre scalavano una
vetta del Tour de France del 1952. Non si saprà mai chi dei due
"passava" la bottiglietta: Bartali, intervistato sulla questione, si
rifiutò sempre di dare la sua versione del fatto. Infatti la realtà era
un’altra: nonostante i giornali li dipingessero come acerrimi nemici, i
due campioni erano accomunati da un reciproco affetto.
Fausto
Coppi nasce a Castellania, in provincia di Alessandria, il 15 settembre del
1919.
Il padre era un agricoltore, e Coppi crebbe in una dignitosa povertà. Decise
immediatamente che non avrebbe seguito le orme del padre. A tredici anni faceva
il salumiere a Novi Ligure, così nacque quasi per caso il suo grande amore
per il ciclismo. Proprio con la bicicletta percorreva il tratto di strada che
separava Castellania dal suo luogo di lavoro. Viene così segnalato a Biagio
Cavanna, un abile scopritore di talenti (fu lui a scoprire un altro campione,
Costante Girardengo, vincitore per due volte del Giro d’Italia e reso celebre
dalla canzone di Francesco De Gregori “Il Bandito e il campione”)
Nel
1940, al suo esordio al Giro d'Italia, vince fra la sorpresa generale. Ha 21
anni quando Mussolini chiamò alle armi l’Italia fascista; era il 10 giugno 1940
e Coppi combatté nella guerra del Nord Africa, dove dovette scontare una lunga
ed opprimente prigionia e non poté salire su una bicicletta per diverso tempo.
Quando
la guerra finisce, ricomincia a vincere. Nel 1946, ingaggiato dalla Bianchi,
vince la Milano-San Remo. L'anno dopo, il suo secondo Giro d'Italia. Diventa
ricco ma è un eroe “accessibile.” Come scrive Gianni Brera, Coppi faceva parte
di quella generazione di contadini che diventano ricchi, ma nonostante ciò
restano umili e non perdono l’educazione e il rispetto per il prossimo. Nonostante il carattere fosse riservato, per i suoi
sostenitori non era difficile avvicinarlo. Solo un fatto fu
stigmatizzato da un’opinione popolare allora perbenista, ovvero la sua
relazione extraconiugale con Giulia Occhini (la c.d. “dama bianca”) che
costrinse la stessa a subire un mese di carcere. Infine i due si sposarono in
Messico ed ebbero un figlio, Angelo Fausto Coppi.
Nonostante queste tribolate vicende private Coppi di riprende la scena: nel 1949 vince tutto: la Milano-San Remo, i giri di Romagna, del Veneto e di Lombardia, il campionato italiano su strada e quello mondiale d'inseguimento. Ma soprattutto porta a termine una delle più incredibili imprese sportive di tutti i tempi: l'accoppiata Tour de France e Giro d'Italia. Nasce così il mito del 'campionissimo'. Ripete la stessa impresa nel 1952, e nel 1953 vince il Giro d'Italia per la quinta e ultima volta.
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