Ogni tanto mi capita di leggere le curiose
riflessioni di Selvaggia Lucarelli, che dovrebbe appartenere alla schiera d’intellettuali
che, con il loro pensiero, dovrebbero aiutarci a comprendere la vita, la
società e se vogliamo anche dove stiamo andando. Un tempo questo compito era
affidato alla penna di Leonardo Sciascia,Giorgio Bocca, Elsa Morante, Pier
paolo Pasolini, Alberto Moravia, nel cinema avevamo Fellini, Visconti, Monicelli,
Rossellini, nella musica avevamo Francesco Guccini, Fabrizio De Andrè, Giorgio
Gaber.
Perché non è intellettuale solo chi
scrive articoli o libri, l’intellettuale può esprimersi in vari modi, attraverso la sua arte e il suo pensiero rappresenta e ci aiuta a
comprendere un determinato tratto della società, che altrimenti potrebbe
sfuggirci. Ci aiuta a comprendere un ideale, a rendere maggiormente
comprensibile un’ideologia. L’intellettuale può prevedere come sarà una società
tra una trentina d’anni, oppure, nel caso svolga anche l’attività di
giornalista, ci permette di comprendere un fatto che altrimenti resterebbe a
tinte fosche per la stragrande maggioranza di noi.
Adesso non voglio paragonare il clima culturale del passato col
nostro, perché tutti siamo vittime di un conformismo senza pietà. Però
voglio proporre il ragionamento della Lucarelli, che ha parlato di un’intervista
di Claudio Bisio, dove il famoso comico affermava che: “Non poteva vivere senza sua moglie.” Dunque
la Lucarelli è andata su tutte le furie, perché a suo parere Bisio, con la sue
parole, ha proposto un genere d’amore pericolosissimo. Grazie a un ragionamento
un tantino contorto, è arrivata a dire che il “morboso” attaccamento di “certi”
causa fenomeni aberranti quali il femminicidio.
Questo perché (sempre in base al
ragionamento della Lucarelli) proporre un amore in cui un individuo non può
vivere senza il suo partner, sarebbe un amore “malato,” perché questo genere d’amore
è chiaramente viziato dalla dipendenza affettiva. In termini generali, si verifica la dipendenza
affettiva quando le emozioni vissute nei confronti del nostro compagno/a sono
prevalentemente senso di colpa, paura e
rabbia.
Come esempio possiamo ipotizzare una qualsiasi discussione... credo che tutti abbiamo avuto discussioni col nostro
partner, senza che queste degenerassero in qualcosa di morboso. Quando invece si è dipendenti affettivamente, quando c’è la
discussione il soggetto dipendente
non sta più pensando all’oggetto della confronto, ma sta già immaginando di
perdere irrimediabilmente il compagno/a. Questo
avviene per una profonda insicurezza del soggetto che soffre della dipendenza
affettiva: che io non posso che definire come un disturbo
comportamentale (preciso, non sono un psicologo, ma questo non mi sembra il
comportamento di una persona serena), che per evitare di perdere il compagno/a
si appiattisce definitivamente sulle sue posizioni, per evitare qualsiasi
discussione.
Sempre secondo la Lucarelli: : “L’idea che senza l’altro si sia morti, che l’altro governi la nostra vita e che se ne sia dipendenti non è romantica. È alla base di quei pericolosi retaggi culturali per cui, nella migliore delle ipotesi, si rimane impantanati in relazioni velenose e svilenti perché - senza l'altro non sono nessuno, e nella peggiore - ti uccido perché non puoi esistere senza di me, io devo essere il tuo tutto. - Il punto fondamentale che la giornalista evidenzia è che Bisio, uomo di spettacolo, dovrebbe utilizzare un migliore vocabolario per evitare l'emulazione di altri (tuttavia la Lucarelli non precisa in cosa consista questo "migliore")
Allora,
concordo sul fatto che viviamo in una società ancora patriarcale, dove la donna
è messa sullo stesse piano dell’uomo forse nella "forma" legislativa, ma
non nella "sostanza," soprattutto quando si parla delle dinamiche nel mondo del
lavoro. Sono maggiormente d’accordo nel sostenere che il femminicidio è un reato
ignobile, che evidentemente trova i suoi presupposti dal senso di possesso di alcuni uomini nei
confronti della donna. Tuttavia non posso credere che un uomo non possa dire
alla propria moglie: “senza di te sarei perduto, sei la mia vita,” perché in
queste parole io continuo a vedere un atto d’amore, e non una minaccia.
Purtroppo
ai nostri giorni i sentimenti sono dominati dalla paura. Dirò di più: siamo surclassati dalla paura. Dalle cose più piccole
a quelle più importanti, è un continuo scappare dalla paure, sfuggirle,
creandocele, anche quando non c’è nessuna possibilità che si realizzino. Insomma, il
classico esempio della persona che non esce di casa perché ha paura che da un balcone le cada un vaso sulla testa. La televisione,
naturalmente, aumenta queste paure con le mille trasmissioni di cronaca nera:
un qualsiasi fatto è scandagliato con un’accuratezza maniacale, per un omicidio
dibattiti a non finire dove non si discute di nulla.
La cosa
che più mi rattrista di tutto questo è che abbiamo paura di vivere i nostri
sentimenti. La dipendenza affettiva della Lucarelli è una nevrosi come un
altro, perché è normale che i rapporti umani siano difficili e talvolta
incomprensibili, nell’amore può accadere che si soffra, però se diamo ascolto a queste idee rifiutiamo la vita e la consegniamo prima alla paura, e poi alla
morte.
Viviamo in
un periodo storico dove i telegiornali ci mostrano atrocità a brutalità di ogni
genere. Penso che sia normale identificarci in quanto avviene, è inevitabile,
ma dobbiamo essere capaci di vivere senza dare troppo ascolto alla paura, soprattutto
quando si tratta di amore, l’unico sentimento che ci permette di cambiare in “meglio.”
Se consegneremo alla paura anche i nostri sentimenti rischieremo di
perdere la parte migliore della vita, complicata senza che noi ci preoccupiamo di
renderla ancora più difficile. Per questo dico: diamo le spalle alla paura,
diciamo sì alla vita. Questo non significa trasformarci in ingenui che vanno
incontro ad esperienze al limite, cercando chissà cosa. Se considerata nel modo
giusto la paura può essere una buona consigliera, se diventa predominante sarà
la nostra carceriera, in una cella che col tempo diventerà sempre più stretta.
Vincenzo
M. D’Ascanio
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