mercoledì 7 dicembre 2022

07 Dicembre 1941. Il Giappone attacca la base americana di Pearl Harbour. Di Vincenzo Maria D’Ascanio


 

"Non importa quanto tempo ci dovremo prendere per superare questa invasione premeditata, il popolo americano, con la forza della ragione, vincerà con un vittoria schiacciante. Credo di interpretare la volontà del Congresso e del popolo, quando dico che non solo ci difenderemo fino all’ultimo, ma faremo in modo che questa forma di tradimento, per noi, non sia mai più un pericolo. L'ostilità esiste. Non vi è alcun dubbio per il fatto che il nostro popolo, il nostro territorio e i nostri interessi siano in grave pericolo.

Con la totale fiducia nelle nostre forze armate, con l’illimitata determinazione del nostro popolo, si otterrà l'inevitabile trionfo. Così Dio ci aiuti.  Chiedo che il Congresso dichiari che, fin dall’attacco non provocato e codardo da parte del Giappone della Domenica, 7 dicembre 1941, esista uno stato di guerra tra gli Stati Uniti e l'Impero giapponese."

 

1941 Franklin D. Roosevelt - 8 dicembre 1941

 

(07 Dicembre 1941) È appena mattina quando più di 350 aerei giapponesi distruggono la Pacific Fleet statunitense presso una delle più importanti basi navali statunitensi: quella di Pearl Harbour, nell’arcipelago hawaiano. Con l’attacco a sorpresa, il Giappone dichiara ufficialmente guerra agli Stati Uniti e alla Gran Bretagna. L’incursione aerea giapponese forza l’entrata in guerra degli Stati Uniti. Infatti, in precedenza il Presidente Theodor Roosevelt aveva non poche difficoltà a convincere i suoi compatrioti, che non intendevano inviare i propri giovani in una guerra sanguinosa e lontana. Tra i partiti che si opponevano alla guerra possiamo ricordare “First America”, un partito filonazista che si rifaceva alle idee di Adolf Hitler, e che in quel periodo stava riscuotendo un consenso inatteso. Tra i punti principali c’erano l’antisemitismo e naturalmente l’alleanza con l’amico naturale tedesco.

 

Ai primi di settembre del 1941 gli ammiragli giapponesi in comando si riunirono a Tokio per discutere il piano d'attacco contro Pearl Harbor. Intanto era stabile sopratutto nell'isola di Oahu la raccolta d'informazioni sulla flotta americana. Erano presenti numerose spie dell’impero nipponico, che fornivano dettagliate informazioni soprattutto sull’orario delle esercitazioni.

 

Com’è poi risultato da indicazioni segnate su una carta nautica, trovata su un sommergibile nipponico sequestrato, in un pomeriggio fra il primo e il 6 dicembre un sommergibile giapponese fece una ricognizione addirittura all’interno di Pearl Harbor, per constatare le posizioni delle navi. Per la tipica abitudine americana del riposo nel fine settimana il cambiamento di turno nell'attività coincideva con la domenica; perciò il comando giapponese stabilì di eseguire l'attacco al mattino di domenica 7 dicembre corrispondente al lunedì 8 dicembre in Giappone.

 

La partenza dei velivoli giapponesi cominciò all'alba, quando le navi del Mikado giunsero a circa 200 miglia a nord di Oahu. La prima ondata che arrivò sugli obiettivi fra le ore 7 e 55 e le 8 e 05 fu costituita da 4 gruppi: 50 velivoli per bombardamenti in quota contro le corazzate; 40 velivoli siluranti contro le corazzate e le navi portaerei; 54 velivoli per l'attacco in picchiata contro hangars e velivoli a terra; 45 velivoli da caccia contro velivoli in volo o nel campi. La seconda ondata che iniziò l'attacco alle ore 9 fu composta di tre gruppi: 54 velivoli per bombardamenti in quota contro hangars e velivoli nei campi; 81 velivoli per bombardamenti in picchiata contro navi portaerei ed incrociatori; 36 velivoli da caccia contro velivoli in volo o nei campi.

 

L'attacco fu guidato dall'ammiraglio Isoroku Yamamoto e l’intera operazione si concluse con un imponente successo, poiché gli aerei nipponici colsero i soldati americani del tutto impreparati. Precedentemente gli americani avevano ipotizzato un possibile attacco proprio alla flotta di Pearl Harbour, ma numerose deduzioni non furono considerate adeguate a sostenere un piano di difesa. Alcuni soldati USA avevano persino sentito arrivare il nemico, ma questi rumori furono scambiati con quelli di alcuni bombardieri americani, che proprio la mattina del 07 Dicembre stavano per atterrare.

 

In ogni caso il successo dei giapponesi non fu completo: infatti non furono colpite le portaerei americane non presenti in porto al momento dell'attacco e rinunciarono a bombardare i depositi di carburante e l'arsenale della base. I danni inflitti alla flotta del Pacifico comunque furono pesanti: una corazzata saltò in aria, una si capovolse, altre tre furono affondate. Nel 2000 il fotografo Robert Stinnett, sostenne la "teoria della cospirazione" architettata da Roosevelt e i suoi collaboratori per indurre i giapponesi ad attaccare Pearl Harbor. Roosevelt avrebbe applicato un piano per provocare l'attacco giapponese contro gli Stati Uniti: all'ammiraglio Kimmel sarebbe stato impedito di condurre esercitazioni che avrebbero fatto scoprire la flotta giapponese in arrivo, flotta che in realtà, secondo la teoria di Stinnett, non avrebbe mantenuto il silenzio radio e, anzi, i suoi messaggi sarebbero stati intercettati e decifrati dai servizi statunitensi.

 

Il lavoro di Stinnett è stato tuttavia fortemente criticato da altri studiosi, e le sue deduzioni, seppur interessanti sono state ritenute non esatte. Tuttavia altri fattori sono a favore della teoria del complotto: anche per Pearl Harbor si aprì un grande dibattito, per certi aspetti simile a quello riguardante  le Twin Towers abbattute nel Settembre nel 2001.

 

Vincenzo Maria D’Ascanio


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