martedì 26 dicembre 2023

A spasso con la nebbia. Nuraghe Littiu (Seneghe, Oristano, Sardegna) Di Natalia Guiso (Su Facebook Naty GuìNuraviganne)


 


 

 

L'esplorazione di questo bellissimo nuraghe è stata davvero particolare. Partiti dal parcheggio con un bel sole, in pochi minuti questa giornata ha mutato i suoi colori e durante la camminata, attraverso una natura ormai secca, una coltre di nebbia ci ha raggiunti ed accompagnati durante tutto il percorso. Dinanzi a noi, Lithu. Siamo rimasti fermi per alcuni minuti ad osservare il silenzioso gigante.

 

Alto 9 metri, é stato costruito con grossi conci in basalto che rendono la struttura mastodontica. La sua posizione permette una vista su tutta la vallata del riu Maistu Impera, del golfo di Oristano e della pianura del Campidano. La sensazione nel varcare l'ingresso, percorrere il corridoio ed arrivare a poter ammirare la copertura a tholos è straordinaria, la percezione di potenza e della raffinata tecnica costruttiva è incredibile.

 

Nella camera principale si trovano due nicchie, subito dopo l'ingresso invece, sulla sinistra, si può risalire la stupenda scala elicoidale e accedere a quella che probabilmente era la seconda camera. La sensazione in cima é di assoluta libertà. Penso e sono sempre grata di poter vivere in un' isola nella quale é sufficiente uscire di casa per poter visitare questi Luoghi stradinari.

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Di Natalia Guiso









Il Natale nella cultura e nella tradizione sarda. di Francesco Casula.


 

Nella tradizione sarda, quando la civiltà industriale e commerciale ancora non aveva soppiantato quella contadina e agropastorale, il Natale costituiva un importante e significativo momento di aggregazione, ideale per ribadire e talvolta ripristinare la coesione del nucleo familiare temporaneamente incrinata dai vincoli derivanti dal lavoro in campagna.

 

Il Natale basato sul messaggio di fede e speranza, si contrapponeva positivamente alla solitudine degli altri periodi dedicati alla produzione del reddito, quando, per molti mesi all’anno, il capo famiglia era costretto a vivere in freddi ricoveri di montagna, lontano dalla propria casa e dai propri cari. Il momento cardine che sanciva la ricomposizione di ciascuna famiglia e la ripresa dei contatti umani, era proprio la notte della Vigilia, definita dalla tradizione Sa notte ’e xena (notte della cena).

 

In quest’occasione, il caminetto rappresentava il centro delle attività di ciascuna famiglia e, quindi, il punto di emanazione del calore necessario a mitigare le fredde temperature invernali. Per questo motivo, era consuetudine predisporre per le festività natalizie, un grosso ceppo appositamente tagliato e conservato Su truncu ’e xena o cotzina ’e xena. Un’atmosfera descritta in “Miele Amaro”, ripensando alla sua Orotelli, da Salvatore Cambosu: «Certo, ci vuole proprio un villaggio perché un bambino come Gesù possa nascere ogni anno per la prima volta. In città non c’è una stalla vera con l’asino vero e il bue; non si ode belato, e neppure il grido atroce del porco sacrificato, scannato per la ricorrenza. In città è persino tempo perso andar cercando una cucina nel cui cuore nero sbocci il fiore rosso della fiamma del ceppo».

 

Proprio accanto al piacevole tepore emanato dal fuoco l’intero gruppo familiare consumava i prodotti tipici sardi della tradizione pastorale come l’agnello o il capretto arrosto con annesse frattaglie (su trataliu e sa corda), formaggi sardi e salsicce sarde ottenute da su mannale, il maiale allevato in casa. Secondo questa consuetudine i preparativi per la cena iniziavano già nei giorni precedenti la Notte Santa. Al riguardo, la tradizione orale racconta come in quella circostanza il consumo di tutte le pietanze preparate diventasse un obbligo. E proprio per questo motivo, spesso e volentieri, si ammonivano i bambini a mangiare abbondantemente, altrimenti una terribile megera chiamata “Maria Puntaborru” (in alcuni paesi del Campidano) o “Palpaeccia” (in molti paesi dell’interno), avrebbe tastato il loro ventre durante il sonno e se questo fosse risultato vuoto, avrebbe infilzato la loro pancia con uno spiedo appuntito oppure messo sul loro stomaco una grossa pietra per schiacciarlo.

 

Dopo la cena si era soliti intrattenersi ascoltando le storie e gli aneddoti di vita narrati dagli anziani. In alternativa, il momento d’attesa era trascorso facendo ricorso a giochi tradizionali come su barrallicu, arrodedas de conca de fusu, punta o cù, cavalieri in potu, tòmbula, matzetu e set’è mesu in craru. Con l’avvicinarsi della mezzanotte, i rintocchi delle campane avvisavano la popolazione dell’imminente inizio della “Messa di Natale”, Sa Miss ’e pudda, ovvero la “messa del primo canto del gallo”.

 

In tale circostanza tutte le chiese venivano addobbate con una gran quantità di ceri. L’atmosfera natalizia e l’alta concentrazione di gente che assisteva alla solenne funzione (ad eccezione delle donne in lutto che la notte restavano a casa e partecipavano alla prima orazione del giorno dopo) diventavano spesso fonte di baccano durante lo svolgimento delle sacre funzioni religiose e, in alcuni casi, capitava addirittura di udire archibugiate in segno di giubilo provenienti dal portone o, talvolta, dall’interno della chiesa stessa.

 

Ne è testimonianza ciò che accadde in occasione del Natale del 1878, quando, all’ora dell’elevazione dell’ostia, uno dei barracelli presenti al rito sparò una schioppettata nel presbiterio, cosicché il parroco sbigottito dovette affrettarsi a finire le funzioni religiose prima dell’ora stabilita. A tal proposito la Chiesa, già dal lontano passato, aveva sempre lamentato il perpetuarsi di questi inconvenienti, tant’è che i Sinodi di Cagliari degli anni 1651 e 1695, ad esempio, davano indicazioni ben precise al Clero locale, affinché: «… si vietino il chiasso e la gran confusione che si creano in chiesa in occasione delle grandi feste e … le notti di Natale, Giovedì e Venerdì Santo, … non si permetta il lancio di noccioline, nocciuole, dolci, ecc., … né si sparino archibugiate all’interno della chiesa, anche se per festeggiare il Santo. E se sarà necessario si invochi l’aiuto del braccio secolare per scongiurare questi eccessi».

 

In Barbagia non mancano tradizioni specifiche riferibili alle feste natalizie e di fine anno. A Bitti fino all’Epifania Su Nenneddu (un’antica piccola statua di Gesù Bambino) viene accolto di casa in casa (emigrati compresi) con canti e preghiere. Ancora a Bitti il 31 dicembre al termine del Te Deum il parroco si affaccia alla finestra della chiesa per lanciare Sas Bulustrinas, monetine e caramelle che scatenano la caccia dei bambini. Bimbi protagonisti anche a Orgosolo nella mattinata di San Silvestro quando viene ancora riproposta Sa candelarìa: gruppi di bambini girano di casa in casa per ricevere piccoli regali tra cui un pane tipico preparato per l’occasione. La notte tocca poi agli adulti che fanno visita alle coppie che si sono sposate nell’anno moribondo.

giovedì 21 dicembre 2023

Carlos lo sciacallo. Di Vincenzo Maria D’Ascanio.


 

(21 Dicembre 1975) Un commando di sei persone condotto dal terrorista e mercenario venezuelano Ilich Ramírez Sánchez, noto come Carlos (lo Sciacallo), fa irruzione nell'edificio del quartier generale dell’OPEC, a Vienna, e cattura sessanta ostaggi. Assoldato dal Fronte Popolare di liberazione della Palestina per uccidere due alti membri dell’OPEC, un ministro iraniano ed uno saudita, lo sciacallo non riesce a portare a termine con successo il progetto. Per lui viene emesso un mandato di cattura internazionale.

 

Carlos nasce il 12 ottobre 1949 a Caracas (Venezuela). Suo padre, un avvocato leninista, gli diede il nome Ilich traendolo dal patronimico di Lenin; i suoi fratelli si chiamano invece Vladimir e Lenin, le altre due componenti del nome completo del rivoluzionario sovietico. Studiò a Caracas e in seguito partecipò al movimento giovanile del Partido Comunista de Venezuela.

 

Nel 1959 Carlos avrebbe firmato il suo primo attentato nel 1973 a Londra, sparando contro il direttore di un grande magazzino. Carlos è considerato l'autore o l'ispiratore di vari attentati avvenuti in Europa negli anni 70’ e 80’. In particolare, nel 1982, organizza un attentato terroristico contro il treno Tolosa-Parigi sul quale avrebbe dovuto trovarsi l'allora sindaco di Parigi, Jacques Chirac. Il bilancio dell’azione sono cinque morti. Carlos fu soprannominato "Sciacallo" dalla stampa quando una copia del romanzo "Il giorno dello sciacallo" di Frederick Forsyth fu trovata tra i suoi beni personali.

Carlos sarebbe stato al centro di una rete terroristica internazionale e avrebbe avuto rapporti soprattutto con gruppi oltranzisti palestinesi e con gruppi terroristi tedeschi come la Raf. I suoi rifugi sono stati soprattutto in Siria e nello Yemen, ma la Kopp (la sua compagna) ha raccontato che anche la "Stasi" della Germania Est li ospitava.

 

 

Oltre al terrorismo, Carlos ha coltivato anche la sua romantica immagine di dandy vecchia maniera, affascinato dalle belle donne, gran bevitore, fumatore di sigari di qualità e nottambulo impenitente. Anche dopo il suo arresto ha avuto una love-story con la sua avvocatessa francese. Il 24 dicembre 1997 Carlos fu condannato all'ergastolo dalla Corte d'assise di Parigi per il triplice omicidio della rue Toullier del 27 giugno 1975. Alla lettura della sentenza, Carlos ha alzato il pugno chiuso gridando: "Viva la rivoluzione". Il 23 giugno 1999 la Cassazione ha respinto il ricorso e la condanna al carcere a vita è diventata definitiva. In seguito la Francia ha respinto la richiesta di estradizione presentata dall'Austria per il sequestro dei ministri dei paesi Opec (Vienna 1975).

 

Nel giugno 2003, Ramírez Sánchez pubblicò una collezione di scritti dal carcere, col titolo di "Islam Rivoluzionario", dove cercò di spiegare e difendere le sue attività come parte di un conflitto di classe. Dal carcere parigino della Santé, Carlos ha rilasciato due interviste a quotidiani italiani in cui ha parlato del caso Moro, di Ustica e della strage di Bologna e ha detto anche di ritenere probabile una nuova azione delle Brigate rosse.

 

Nel 2004 la commissione bicamerale d'inchiesta sul caso Mitrokhin, istituita dal Parlamento italiano, si è recata a Parigi per acquisire carte sul terrorista in riferimento ai suoi rapporti con la rete dei servizi dell'Est. Nello stesso anno, inutile viaggio a Parigi del pm romano Franco Ionta per interrogare il terrorista venezuelano nell'ambito della nuova inchiesta sul sequestro e l'omicidio di Aldo Moro.

 

Il 2 agosto 2010, Carlos rilasciò un'intervista al quotidiano online AgoraVox riguardo alla strage della stazione di Bologna del 2 agosto 1980: scagionando i neofascisti, egli parlò delle responsabilità della CIA nell’organizzazione dell’atto terroristico. Secondo la ricostruzione, "yankee, sionisti e strutture della Gladio" fecero brillare un ordigno al fine di distruggere un carico di armi trasportato da palestinesi o da esponenti dell'FPLP; lo scopo era quello di far ricadere su questi ultimi la responsabilità dell'attentato.

 

Vincenzo D’Ascanio

Vincenzo Pillai. A sette anni dalla sua scomparsa 21-12-2016. Di Francesco Casula.


 

Ricordando l'amico il compagno di tante battaglie per una Sardegna più sarda, più libera, più prospera, più bella. Ecco la nota che scrissi in quella occasione

 

Ci ha lasciato Vincenzo Pillai: una vita sulle barricate. Vincenzo Pillai, in una notte selargina insolitamente fredda, il 21 dicembre scorso, alle 3, colpito da un infarto, ci ha lasciato. Due giorni dopo il 23, sempre a Selargius,in una mattinata tersa e soleggiata, quasi a favorire la partecipazione al suo fumerale, una folla di amici e compagni, lo accompagnavano al cimitero, a due passi da casa sua. Moltissimi i giovani che, pur nel rispetto di quel rito doloroso, ad intervalli regolari e ritmandolo lanciavano lo slogan, affettuoso e battagliero insieme: Vincenzo vive/e lotta insieme a noi/Le nostre idee non moriranno mai.

 

Pillai era nato 75 anni fa a Ventimiglia, da padre sardo di Gergei, emigrato, e da madre genovese che lo lascerà orfano, a soli 10 anni.. Dopo il liceo nella cittadina ligure ritornava in Sardegna, a Cagliari dove concluderà l’Università laureandosi in Storia e Filosofia. Intanto parteciperà al Movimento studentesco dove sarà un leader prestigioso e riconosciuto. Iinconfondibile nelle assemblee come nelle manifestazioni del ’68, con le sue camicie a quadri rossi e neri, eschimo verde d’inverno, fisico asciutto, capelli lunghi, con una barba fluente che riempiva un viso altrimenti smunto. Barba e capelli con il tempo si ingrigiranno ma le sue camicie saranno sempre le stesse.

 

Finito il ’68 e con esso esauritasi quell’ondata “rivoluzionaria”, che pure avrebbe cambiato costumi e comportamenti, molti di quei protagonisti, con il “riflusso”, si ritireranno. Anzi, un’intera generazione di giovanotti, si sdraierà nei salotti del Potere, un tempo criticato, contestato e aborrito. A rigirare fra le dita cartacce e scartoffie o a mistificare storia e storie, elucubrando l’ideologia del pentimento.

 

Pillai invece continuerà, imperterrito e impenitente, per ben mezzo secolo: fino alla sua morte. Non si adeguerà. Ne cederà al ripiegamento interiore, al vittimismo, alla lamentazione sterile e generica o all’attesa passiva in cui consumarsi a inghiottire il pianto.

La sua esistenza sarà integralmente e totalmente dedicata all’attività sindacale e politica militante. Senza compromessi. Instancabile e disinteressata. Senza cercare e tanto meno pietire prebende. Fuori e contro le camarille di potere: di qualsiasi colore.

 

Sempre in prima fila nella lotta e nella protesta, a fianco dei più deboli. Per una Sardegna più bella. Libera. Contro le basi militari, e le scorie nucleari. Per il lavoro, per la difesa e la valorizzazione della lingua sarda.

È stato un combattente senza sosta. Un guerriero nuragico. Un comunista eretico. Scomodo, Sempre controcorrente. Coerente, Rigoroso. Generoso. Forse anche “irragionevole”. Ma di quella irragionevolezza di cui parlava un caustico esponente della cultura europea del primo Novecento, Bernard Shaw, quando affermava che l’uomo ragionevole si adatta al mondo, l’uomo irragionevole vorrebbe adattare il mondo a se stesso: per questo ogni progresso dipende dagli uomini irragionevoli.

 

Di Francesco Casula.

mercoledì 20 dicembre 2023

Soru e il dialetto “stretto.” Di Pier Franco Devias.


 

Ho letto l’articolo di Repubblica che vorrebbe descrivere la situazione preelettorale in Sardegna. Un articolo che trasuda tutto il pregiudizio antisardo tipico del liberalismo radical-chic italiano con la puzza sotto il naso e il maglioncino in cachemire sulle spalle. Un articolo che pretende di essere talmente sfacciatamente a favore di Todde che nella foga di presentare Soru come una macchietta finisce per allestire il mercatino dei luoghi comuni sui sardi.

Nel classico bestiario delle cose “oddio, tzardoo” non poteva mancare il richiamo alla faida e al pane carasau, anche se né l’una né l’altra cosa hanno a che vedere con la campagna elettorale. Chissà quanto è stata dura non infilarci da qualche parte anche la pecora. E insomma nel tentativo di presentare un Renato Soru poco attraente per il salotto buono della sinistra rosè il giornalista segnala che “tiene comizi solo in dialetto stretto”. Si riferisce al suo intervento in sardo di domenica scorsa.

 

Intanto non si tratta di comizi, poi non li tiene “solo” in sardo (tentativo maldestro di farlo risultare vagamente fanatico) ma “anche” in sardo. E scusate se i sardi hanno il difetto di parlare anche in sardo. Ma poi la chicca è proprio il concetto di “dialetto stretto”.

Allora. Sul fatto che il sardo sia una lingua a sè e non una qualche variante di altra lingua, lo sanno tutti fuorchè evidentemente a Repubblica e nei salotti dove si preparano gli articoli. Però la cosa bella è proprio quello “stretto”. In che senso “stretto”? C’è un modo di parlare il sardo non stretto?

 

Che so, avete mai visto un giornalista italiano dire cose tipo “Il candidato all’Eliseo ha tenuto il suo discorso in francese stretto”? Che cosa può voler indicare quello “stretto” assieme a “dialetto” se non il tentativo di presentare Soru, e con esso tutti i sardi che amano la propria cultura, come retrogradi ottusi, chiusi al mondo e alle sua novità? Ma veramente pretendono di dipingere Soru come uno chiuso alle novità del mondo solo perché ha utilizzato, valorizzandola e normalizzandola, la lingua del suo popolo?

 

Davvero Repubblica e il suo corrispondente ambientino politico radical-chic pretendono di ridicolizzare e denigrare Soru (facendo fare per risultanza, secondo loro, bella figura a Todde) con questo armamentario degno di Alfredo Niceforo? E alla fine giusto per dare quel tocco di colonialismo (parola che non si deve mai usare, come ha redarguito Todde a Cagliari) il giornalista spiega che per capire ciò che ha detto Soru deve attendere che i suoi colleghi “indigeni” gli facciano la traduzione. Non so se avete mai sentito un giornalista italiano dire che attendeva la traduzione del discorso di Netanyahu da parte dei giornalisti indigeni.

 

Ebbene, mi presto io, da fiero indigeno di questa terra, a tradurgli cosa ha detto Soru. Ha detto che dobbiamo camminare sulle nostre gambe, essere propositivi, costruire il nostro futuro e riportare i nostri giovani a vivere qui e fare crescere questa nostra bellissima terra. Ha detto che dobbiamo essere orgogliosi di noi stessi e prepararci ad affrontare le grandi sfide del futuro, per far si che questa isola diventi l’avanguardia della cultura, della scienza, della proposta sostenibile, del rispetto dell’ambiente, del lavoro giusto e rispettato. E lo ha detto, spontaneamente, nella lingua che è di questo popolo da mille anni, e che non ci vergogniamo più di parlare e di difendere, nonostante abbiate cercato per decenni di sradicarla e di farcene vergognare.

 

Ecco, questo ha detto. E noi siamo orgogliosi di essere al fianco dell’unico presidente della storia autonomistica sarda che spiega il suo programma in sardo, ai sardi, per la Sardegna.

 

Per voi è normale che un presidente italiano parli in italiano agli italiani. Anche noi stiamo cercando di normalizzare questo fatto che dovrebbe essere neutro e non dovrebbe scandalizzare nessuno, scrollandoci di dosso decenni di autorazzismo e di ridicolizzazione indotta della nostra identità. E continueremo a farlo. Nonostante gli articoli di Repubblica e del suo corrispondente ambiente politico.

 

Pier Franco Devias

S’Istoria sarda in limba sarda. Di Francesco Casula.

  In unas cantas pimpirias, in televisione, apo contau s'istoria  sa literadura, sa poesia sarda.  - in sa de tres chistionende de s ...