venerdì 5 gennaio 2024

Peppino Impastato e Giuseppe Fava, vittime di mafia. Di Vincenzo Maria D’Ascanio


 

(05 gennaio 1948) nasceva Peppino Impastato, da Felicia Bartolotta e Luigi Impastato. La sua è una famiglia complice dell’ordine mafioso locale, sistema che lo stesso Peppino tenterà di scardinare nell’arco di tutta la sua breve esistenza, mediante una temeraria lotta condotta pubblicamente, con iniziative politiche e sociali a sostegno della legalità. Questo suo attivismo contro la mafia lo porta a scontrarsi spesso col padre, fino all’inevitabile allontanamento dalla casa paterna quando era ancora molto giovane.

 

Nel 1965 fonda “L’idea socialista”, un giornale di denuncia che dopo poche pubblicazioni sarà sequestrato, evidentemente ritenuto “scomodo” per qualche personaggio influente, che governava amministrazione e polizia locale. In quegli anni Peppino partecipa alle manifestazioni di protesta al fianco dei disoccupati e dei contadini ai quali vengono espropriati i terreni per avvantaggiare il corrotto sistema edilizio, compresi quelli riguardanti la costruzione dell’aeroporto, interessi facenti capo, naturalmente al potere mafioso ed al clan di Gaetano Badalamenti.

 

Nel 1976 promuove la formazione di un’associazione culturale “Musica e cultura”, che abbina il divertimento giovanile a dibattiti ed iniziative culturali. Un anno dopo fonda la celebre “Radio Aut”, un’emittente radiofonica libera dai cui microfoni Peppino opera un’audace ed ironica azione di denuncia nei confronti dei boss locali, in particolare del capomafia Gaetano Badalamenti (da lui chiamato “Tano Seduto”, colpendo l’uomo d’onore proprio nell’onore), e dei traffici di droga gestiti da questi ultimi grazie al controllo dell’aeroporto di Palermo.

 

Nel 1978 Giuseppe “Peppino” si candida alle elezioni comunali di Cinisi nella lista di Democrazia Proletaria, ma nella notte tra l’8 e il 9 maggio di quello stesso anno viene barbaramente ucciso, legato ai binari ferroviari, una carica di tritolo è sistemata sotto il suo corpo. Inizialmente la stampa e la magistratura lo dipingono come un possibile attentatore, rimasto vittima del suo stesso atto terroristico. Tuttavia le circostanze della morte non lasciano spazio a fraintendimenti, ma la mafia vuole uccidere Peppino in due modi: prima togliendoli la vita, e poi dandogli l’etichetta di terrorista.

Due procedimenti giudiziari nei confronti di Gaetano Badalamenti, accusato di essere il mandante dell’agguato a Peppino Impastato, si concludono con altrettante archiviazioni, nel 1984 e nel 1992. Soltanto nel 2002 la Corte di giustizia italiana condanna Gaetano Badalamenti, detto “Don Tano”, all’ergastolo per l’omicidio di Peppino. Nei giorni successivi all’assassinio i concittadini di Cinisi votarono il suo nome, eleggendolo simbolicamente nel consiglio comunale. Oggi centri e associazioni continuano a combattere la mafia in suo nome: e ci sono istituti e luoghi pubblici intitolati a lui, per fortuna l’Italia è anche questo.

 

(05 Gennaio 1984) La mafia uccide Giuseppe Fava

Ore 22.00, lo scrittore, giornalista e sceneggiatore Giuseppe Fava viene ucciso da 5 proiettili alla nuca. A sparare è la mafia. Nato il 15 settembre del 1925 in provincia di Siracusa, Fava affianca al giornalismo una brillante carriera di drammaturgo: il film “Palermo or Wolfsburg”, tratto dal suo romanzo “Passione di Michele”, vince l’Orso d’oro al Festival di Berlino nel 1980.

Nello stesso anno, gli viene affidata la direzione del “Giornale del Sud” e ne fa un quotidiano coraggioso, in prima fila nel denunciare le attività mafiose a Catania.

Licenziato dal “Giornale del Sud”, continua la sua campagna antimafiosa sulla rivista “I Siciliani” , in cui pubblica l’anno prima un’inchiesta-denuncia (“I quattro cavalieri dell'apocalisse mafiosa”) sui collegamenti fra quattro importanti imprenditori catanesi e il clan di Nitto Santapaola.

 

Inizialmente, viene attribuito all’omicidio un movente passionale o economico (per le difficoltà in cui versava la rivista); solo successivamente la magistratura valuta il ruolo di Fava nella denuncia dell’attività dei clan e nel 1998, il processo “Orsa maggiore”, si conclude con la condanna di Nitto Santapaola all’ergastolo come mandante dell’omicidio.


Vincenzo Maria D’Ascanio


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