(20 Febbraio 2006) Muore a 84 anni nella sua casa di Sun City, nel deserto dell’Arizona, Paul Marcinkus, ex-presidente dello Ior, Istituto per le Opere di Religione, in parole povere “la Banca Vaticana.” Nato nel 1922 a Cicero, il sobborgo di Chicago noto per aver dato i natali ad Al Capone, da una famiglia di immigrati lituani, Paul Casimir aveva cinque fratelli e il padre si guadagnava da vivere pulendo i vetri degli uffici. La vocazione si manifesta abbastanza presto: a tredici anni si iscrive a una scuola della diocesi e a diciotto si trasferisce nel seminario maggiore di St. Mary of the Lake a Munderlein, in Illinois, dove studia filosofia e teologia. L’arcivescovo si porta nella tomba segreti e verità mai rivelate su alcune delle vicende italiane più controverse degli anni ’70 e ‘80, dal crack del Banco Ambrosiano al rapimento di Emanuela Orlandi.
Nel 1952, mentre si trovava a Londra per una ricerca, fu raggiunto da
una lettera del Vaticano che lo invitava a trascorrere due mesi presso la
sezione inglese della Segreteria di Stato. I professori della Gregoriana
avevano infatti segnalato il nome di don Paul al factotum di Pio XII, monsignor
Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI. Quel periodo di prova divenne
definitivo. E Marcinkus si trasformò poco a poco nel punto di riferimento
romano per tutti gli americani.
Un soprannome azzeccato, data l’imponente stazza del prelato americano. Nel 1969 il Papa lo consacra vescovo e lo trasferisce alla guida allo Ior, pur non avendo Marcinkus alcuna competenza di banche e finanza. Passano pochi anni, e nel 1972 il suo nome viene tirato in ballo nello scandalo dei titoli azionari falsificati che il Vaticano avrebbe acquistato dalla mafia. Marcinkus fu accusato di avere avuto contatti non solo con la loggia massonica P2, ma anche con Cosa Nostra e la Banda della Magliana. Chi sostiene la tesi dell’uccisione di Giovanni Paolo I, vede in Marcinkus uno dei mandanti e degli occultatori del delitto. Sicuramente, fra Papa Luciani e l’arcivescovo americano c’erano fortissimi contrasti sui valori etici e sui sistemi con cui questi gestiva la Banca Vaticana.
Le carte e i documenti spulciati dai liquidatori dell’Ambrosiano e dai
magistrati descrivono transazioni per centinaia di milioni di dollari dalle
società fantasma di Calvi allo Ior. Per
11 anni la banca vaticana, grazie al suo status “offshore” fece da
intermediaria per le operazioni del “banchiere di Dio” che nel 1982 morirà impiccato sotto il ponte dei
Frati neri nel cuore di Londra.
A inguaiare l’intraprendente arcivescovo furono le famose lettere di patronage, concesse dallo Ior a Roberto Calvi nel momento in cui l’impero di scatole cinesi dell’Ambrosiano cominciava a sfaldarsi. Con quelle lettere, la banca vaticana confermava che “direttamente o indirettamente” esercitava il controllo su Manic.S.A. (Lussemburgo), Astolfine S.A (Panama), Nordeurop Establishment (Liechtenstein), U.T.C. United Trading Corporation (Panama), Erin S.A (Panama), Bellatrix S.A (Panama), Belrosa S.A (Panama), Starfield S.A (Panama).
La “prova” delle colpe di Marcinkus, secondo gli inquirenti che chiederanno il suo arresto per concorso in bancarotta fraudolenta, mai concesso dal Vaticano. In realtà, esisteva anche un’altra lettera, a firma di Calvi, che sollevava la banca della Santa Sede da ogni responsabilità. Ingenuo e desideroso di aiutare un compagno d’affari che gli offriva week-end di lavoro alle Bahamas o complice di operazioni sporche? Nessuno saprà mai fino in fondo la verità.
Il
20 febbraio 1987, Marcinkus sfugge, grazie all’immunità vaticana, al mandato
d’arresto spiccato dalla magistratura italiana. Per ben 7 anni, dopo lo scandalo dell’Ambrosiano, rimane a capo della
Banca Vaticana. Esce di scena solo alla fine degli anni ’90, quando fa ritorno
all’arcidiocesi di Chicago, per poi trasferirsi definitivamente a Sun City. Non
racconterà mai agli inquirenti la “sua” verità.
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