Giustizia e Libertà, 21
ottobre 1938 Le Journal des Débats pubblica, tra il serio ed il faceto, uno
scritto in cui si attribuisce a Mussolini il proposito di relegare in Sardegna
tutti gli ebrei italiani.
Con i tempi che corrono, queste cose vanno prese sempre sul serio. Come sardo,
nato in Sardegna e rappresentante di sardi, io mi considero direttamente
interessato […] . Così stando le cose, è troppo giusto che gli ebrei italiani
vengano a finire in Sardegna: essi sono i nostri più prossimi congiunti. Per
conto nostro, noi non sentiamo che pura gioia. Essi saranno
accolti da fratelli.
La famiglia semitica uscirà
rafforzata da questa nuova fusione. Semitici con semitici, ariani con ariani.
Mussolini va lodato per tale iniziativa. Anche perché rivela, verso noi sardi,
un mutato atteggiamento. Nel 1930, davanti a un giornalista e uomo politico francese che gli
aveva fatto visita, pronunziò parole e propositi ostili contro l’isola
fascisticamente malfida, e affermò che avrebbe distrutto la nostra razza,
colonizzandoci con migliaia di famiglie importate da altre regioni d’Italia. Egli
mantenne la parola e popolò le bonifiche sarde di migliaia di romagnoli e di
emiliani.
Ma, a difesa della razza sarda,
vigilavano impavide le zanzare, di pura razza semitica. L’immigrazione ariana è
stata devastata dalla malaria e ora non ne rimane in piedi che qualche raro
esemplare superstite. Con gli ebrei, sarà un’altra questione. Essi saranno i
benvenuti per noi e per le zanzare fedeli, le quali saranno, con loro, miti e
discrete come lo sono con noi.
Sardi ed ebrei
c’intenderemo in un attimo. Come ci eravamo intesi
con gli ebrei che l’imperatore Tiberio aveva relegato nell’isola e che Filippo
II di Spagna scacciò in massa. Quello fu un gran lutto per noi. Ben
vengano ora, aumentati di numero. Che razza magnifica uscirà dall’incrocio dei
due rami! Per quanto federalista e autonomista, io sono per la fusione dei
sardi e degli ebrei. In Sardegna, niente patti federali. I matrimoni misti si
faranno spontanei e la Sardegna sarà messa in comune. E
quando saremo ben cementati, chiederemo che ci sia concesso il diritto di
disporre della nostra sorte.
L’Europa non vorrà negare
a noi quanto è stato accordato ai Sudeti. Una Repubblica Sarda indipendente
sarà la consacrazione di questo nuovo stato di fatto. Il presidente, almeno il
primo, mi pare giusto debba essere un sardo, ma il vice-presidente dovrà essere
un ebreo. Modigliani può contare sul nostro appoggio che gli sarà dato
lealmente. Penso che dovremmo respingere la garanzia delle grandi potenze
mediterranee e svilupparci e difenderci da noi stessi. Se gli
ebrei d’Europa e d’America vorranno accordarci la decima parte di quanto hanno
speso in Palestina, è certo che la Sardegna diventerà, in cinquant’anni, una
delle regioni più ricche e deliziose del mondo, la cui cultura non avrà
riscontro che in poche nazioni avanzate.
Ciò non toglie che i
nostri rapporti non possano essere buoni, inizialmente, anche con l’Italia
ariana;
ma, da pari a pari. Vi sarà uno scambio di prodotti, e noi
potremo, data la ricchezza delle nostre saline, rifornire l’Italia ariana,
specie di sale, che ne ha tanto bisogno.
Naturalmente, non
accoglieremo tutti gli ebrei italiani. Ve ne sono parecchi che, per noi,
valgono gli ariani autentici. Il prof. Del Vecchio [2], per esempio, noi non lo
vogliamo. E vi saranno parecchi ariani di razza italica che noi terremo a fare
semitici onorari. Problemi tutti che risolveremo presto e facilmente. V’è
la questione del re-imperatore che, come si sa, ha fatto la sua fortuna come re
di Sardegna.
Si ha l’impressione che il decalogo razzistico sia stato compilato
anche per lui.
Non esiste infatti
nessuna famiglia, in Italia, meno italiana della famiglia reale: essa non
appartiene più alla razza italica pura. Di origine gallica, i matrimoni
misti l’hanno corrotta a tal punto che il sangue straniero vi è in predominio
palese. E il principe ereditario, figlio di una montenegrina, è sposato con una
belga-tedesca; una principessa con un tedesco, e un’altra con uno slavo-bulgaro.
Ariani ma non italiani.
La futura repubblica
sarda sarà magnanima anche col re di Sardegna. Lo accolse l’isola,
fuggiasco dall’invasione giacobina, lo accoglierà ancora una volta, profugo dal
dominio ariano-italico. L’isola dell’Asinara gli sarà concessa in usufrutto
fino all’ultimo dei suoi discendenti. E potrà tenervi corte, liberamente, a suo
piacere. Colpisce invece che, per restare alla stessa fase storica, sia
pressoché assente nella nostra memoria collettiva la deportazione di qualcosa
come 50.000 sardi,
a seguito della spedizione di Tiberio Sempronio Gracco nel 237 a.C. o, secondo
altri, a seguito di quella del nipote omonimo nel 175 a.C. Sono i “sardi
venales”, sardi di poco valore economico, perché per la loro quantità fecero
crollare il prezzo degli schiavi. Perché in effetti la
rimozione di quella lontana deportazione di 50.000 sardi fa compagnia all’oblio
pressoché totale della deportazione di circa 290 sardi, tra politici ed ebrei,
e di circa 12.000 internati militari sardi nei lager nazisti. E si
trattava nella stragrande maggioranza di giovani. Una enormità di gente nostra
allora e oggi. Fino a pochi anni fa, questa realtà restava totalmente
sconosciuta ai più e, nel migliore e raro dei casi, il nome di una via in
qualche nostro paese serbava il ricordo ormai smemorizzato.
Francesco Casula
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