Inoltre
vi erano le discutibili concessioni del Governo Renzi, che da una parte
azzerava l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, e dall’altra aumentava lo
stipendio ai lavoratori pubblici, ovvero i soli che possono dirsi certi della
paga a fine mese e che godono della maggiori tutele, in un mondo del lavoro
dove ormai le tutele sono state annientamente, e non solo grazie alle politiche
del centrodestra.
Di
certo i dipendenti pubblici avevano diritto agli aumenti, per carità, ma quei
governi non avevano pensato alla distruzione delle tutele derivate dal libro Bianco (Legge Biagi) che insieme al job acts ha istituzionalizzato il licenziamento senza
giusta causa, parcellizzato il lavoro e depotenziato i sindacati. Insomma, come
si diceva spesso in quel periodo, il centrosinistra ha
tenuto fuori dalle sue riforme fondamentali settori del lavoro, oltre a non
pensare a misure di sostegno per chi il lavoro non l’aveva.
In quei mesi le forze di destra, e soprattutto di estrema destra, crescevano
vertiginosamente.
La destra sociale più estrema cresceva soprattutto nelle periferie, ovvero in
quei luoghi/non luoghi dove soprattutto negli anni ‘70 sono stati ghettizzati i
bisognosi, e dove nascono lotte all'arma bianca per una casa popolare. Proprio
nelle periferie nasceva lo scontro tra gli immigrati e un
popolo senza coscienza, incapace di vedere la radice dei problemi e pronto a farsi
affascinare dalle parole d’ordine dello scontro di civiltà e dalla paura di
perdere lo scontro con la nuova forza lavoro che non chiedeva garanzie e
tutele.
C'è stata una politica, saggia e forse fortunata, a fare in modo che
la situazione non degenerasse. Da una parte il
malcontento e la protesta furono assorbiti dai Cinque Stelle che, come
ogni nuova proposta politica, accesero le speranze dei cittadini anche con
politiche mirate come il reddito di cittadinanza. Secondo fattore, temporalmente successivo
alle elezioni, fu l'apertura di una crisi di Governo da
parte di Salvini, decisione quasi irrazionale, che non ha tenuto conto
dei numeri reali in Parlamento. In quel caso si creò un Governo di
centrosinistra assai più forte della “cosa” giallo verde. Terzo elemento è stato lo spostamento della tensione,
fattore del tutto estraneo ai giochi di palazzo e all’intuito politico.
Dal problema immigratorio si è passati al reale e tragico periodo
della pandemia,
un periodo che ha colto politici e cittadini del tutto impreparati, dove le
carte si sono nuovamente rimescolate. Soltanto Matteo Renzi e la sua compagine
potevano pensare di creare una crisi di governo in quella situazione, ma che
fortunatamente non ha portato il Paese in un vicolo cieco e ha determinato la salita in cattedra di Mario Draghi,
di certo non un uomo del popolo ma che nelle a situazioni Europee solidi
rapporti, necessari per affrontare la crisi sanitaria.
Adesso che la pandemia sembra sconfitta (sembra, almeno dai dati) le
destre riproveranno a cavalcare il problema immigrazione, anche in rapporto a
quanto avvenuto in Afganistan e forse accadrà in Iraq? (Dove
forse estremiste guardano con soddisfazione la grave crisi economica del Paese,
che ha determinato, tra l’altro, a una scarsissima affluenza alle urne). I
Cinque Stelle riusciranno ad assorbire il malcontento, oppure questo sarà
affidato a forze populiste e sovraniste, che cercheranno di approfittare delle complessità
in seno al tessuto sociale? Oppure il
popolo italiano, in questi anni, è maturato, anche in relazione alle tremende
prove del Covid?
Staremo
a vedere, tuttavia credo che in questo momento debba essere raccolto l’insegnamento
di Gramsci all’interno delle istituzioni, ovvero creare una maggiore unità
delle forze anche della sinistra radicale, per dare vita a una forza concreta
con un programma concreto, fondato sì sulla creazione dei posti di lavoro, ma
che deve comunque guardare agli ammortizzatori sociali come un pilastro, perché
la drammaticità della situazione impone uno sguardo di
360° sulla società italiana. Insomma, è necessario del tempo per
ripartire, e nel frattempo nessuno può essere lasciato indietro.
Di
Vincenzo Maria D’Ascanio
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