Su Mesina e
il suo nuovo ennesimo arresto sono state dette e scritte sciocchezze e
banalità, tontesas e machines. A livello industriale e in libera uscita. Giornalisti
di mezza tacca si sono impancati a maîtres à penser e ideologi sulla società
sarda e sul banditismo. Ma quello che più inquieta è
l’evocazione del sardo=bandito. Si dirà: vecchiume di un passato remoto.
Neosabaudo. At a essere. Ma evidentemente quel passato non è poi così remoto,
né passato del tutto. Se vengono riproposte tali imbecillità.
Mi sovviene
a tal proposito un certo Alessandro Doria del Maro (vicerè sabaudo dal 1724 al
1726) che per giustificare la repressione sanguinaria scrisse che la causa del banditismo era da ricercarsi “nella natura
stessa dei popoli [sardi] poveri, nemici della fatica, feroci e dediti al vizio”.
Ponendo così le premesse,anticipando e preparando brillantemente Lombroso e
tutto il ciarpame e la paccottiglia sui Sardi con il dna delinquenziale con i
vari Orano (i Nuoresi sono delinquenti nati) e Niceforo, secondo cui tutti i
Sardi non solo i Nuoresi appartengono a una razza inferiore. Per arrivare agli
anni 1960/70 quando su una rivista patinata e popolare, certo Augusto Guerriero, più noto come Ricciardetto scriverà che i
Barbaricini occorreva "trattarli" con gas asfissianti o per lo meno
paralizzanti.
Per
arrivare ai nostri giorni con il Procuratore di Cagliari, Roberto Saieva, che
all’inaugurazione dell’anno giudiziario 2016 ha sostenuto: “Altro fenomeno
criminale che nel territorio del Distretto appare di rilevanti proporzioni è
quello delle rapine ai danni di portavalori, organizzate normalmente con grande
dispiegamento di uomini e mezzi. Diffusi sono comunque analoghi delitti ai
danni di sportelli postali e di istituti bancari. E’
agevole la considerazione che nella esecuzione di questi delitti si sia
principalmente “trasfuso l’istinto predatorio (tipico della mentalità
barbaricina) che stava alla base dei sequestri di persona a scopo di
estorsione, crimine che sembrerebbe ormai scomparso”.
Da parte
mia non ho niente da aggiungere a quanto di saggio e avveduto è stato detto
ieri su Videolina dall’antropologo Bachisio Bandinu (ma quale mito, quale eroe,
non bat omine). E soprattutto sottoscrivo e condivido
l’intervento del sociologo Nicolò Migheli che riporto integralmente.
Francesco Casula
Storico e saggista della cultura sarda.
***
Mesina è un mito urbano. Di Nicolò Migheli.
Bisogna
aver avuto sedici anni nel 1966 ed aver visto lo sguardo disperato di un tuo
amico a cui avevano sequestrato il padre. Averlo visto quel povero corpo in
decomposizione, buttato sotto un macchia di rovo e avere memoria del lezzo di
cadavere che ti resta nelle narici per settimane. Bisogna essere stati ragazzi
in quegli anni tremendi; a mezzo servizio tra scuola ed ovile, tra sogni di
riscatto civile e il peso di una delinquenza cinica che uccide ogni
aspirazione.
Andare
in campagna con lo sguardo rivolto da un’altra parte per paura di vedere cose
che non dovrebbero essere viste. Bisogna aver stampato in mente carabinieri e
poliziotti che controllavano i bollettini di proprietà, o di custodia, del
bestiame, e una decina di tuoi compaesani che in ferri di campagna venivano
condotti al confino. Ricordarsi dei manifesti con le taglie affissi nei muri
del municipio.
Esperienze come queste ti possono dare chiavi interpretative che superano ogni analisi sociologica, anzi costituiscono il filtro che demitizza le letture semplicistiche. Il banditismo sardo è stato una delle maggiori leve di distruzione della pastoralità, è stato l’alibi per un etnocidio culturale. Basta rileggersi le conclusioni dell’inchiesta parlamentare del senatore Medici, dove l’unica modernizzazione possibile era lo sradicamento di un modello economico antico in favore di una effimera industrializzazione. Togliere l’acqua ai pesci. Il pastoralismo come arte criminale. Come se il delinquere fosse legato ad una professione e non a comportamenti riproducibili in ogni ambito sociale.
Una
operazione così sofisticata aveva però bisogno di un immaginario forte,
costruito in una ambigua positività. Il mito di Mesina è stato funzionale a
tutto questo.
Ha trasformato il banditismo in manifestazione ribellistica di giuste
rivendicazioni, facendone di lui un fenomeno mediatico, con interviste nella
latitanza, peregrinazioni di editori in cerca di un Che per la Cuba del
Mediterraneo. Donne attratte dal fascino ambiguo del latitante con il contorno
di agenti dei servizi. Una riproposizione in salsa
barbaricina del mito del siciliano Salvatore Giuliano. Il bandito
mafioso funzionale alla repressione del movimento di occupazione delle terre,
all’assassinio di sindacalisti e politici di sinistra.
Certa
sinistra urbana che in Sardegna in quegli anni, sui fenomeni delinquenziali
ebbe un comportamento ambiguo, anche essa soggiogata dal mito del ribelle,
senza capire che quel fenomeno era una via facile verso l’arricchimento
personale. Il reinvestimento in tanche allora, in
narcotraffico oggi. Un mito etero imposto che ha finito per imprigionare
Orgosolo. Quel paese è stato abile nel rovesciare lo stigma in opportunità,
facendone una delle principali attrattive turistiche.
Conosco
bene gli orgolesi, per sapere che da tutto ciò vorrebbero liberarsi e le
decine di associazioni che combattono per un paese normale, debbono fare i
conti con un passato che non passa, con chi li appesantisce di continuo con i
suoi comportamenti. Eppure il nuovo arresto di Mesina, se le accuse verranno
provate in sede di giudizio, può essere il colpo mortale per questa mitopoiesi
della vittima delle contraddizioni sociali, di chi non ebbe, secondo quella
vulgata, altre possibilità se non la delinquenza, il sequestro di persona,
l’omicidio.
E’ finito
il tempo della facile giustificazione perché quell’uomo ha toccato
l’intoccabile. Mentre il sequestro di persona, nonostante il suo abominio,
poteva essere visto come una redistribuzione del reddito, del “ricco” che paga
ed altri che ne godono, la droga tocca tutti. Distrugge famiglie e patrimoni, nega il futuro a generazioni
intere; non conosce differenziazioni di classe e di reddito.
Nonostante
la Sardegna non sia indenne da questa piaga, non vi è nessuna ambigua
giustificazione sociale per chi si arricchisce in questo modo. Ecco dove Mesina
ha sbagliato, se è veramente così. Con le sue frequentazioni carcerarie ha
creduto che sistemi di altre realtà fossero riproponibili qui da noi. Non è
stato così, ed in questo modo ha ucciso l’immagine di redenzione, non solo sua,
che altri gli avevano costruito addosso.
Una
sconfitta per tutti. Chie naschet corbu no si che mudat in columba. Chi nasce
corvo non diventa colomba. Recita così un proverbio pessimista e determinista.
Ci sono momenti che non si vorrebbe che quell’adagio avesse ragione. Nonostante
tutto, questo è uno di quelli. La speranza che si possa cambiare è l’ultima a
morire. Cominciamo però a liberarci dell’immagine eroica e giustificazionista
del bandito. Questo tocca a tutti noi. Il resto verrà.
(Un
articolo scritto anni fa, che oggi è valido in tutta la sua attualità)
Nicolò
Migheli
Nessun commento:
Posta un commento