Ha destato clamore il dossier dell’ OCSE sul la futura età
pensionabile. Da quanto si
può leggere, in Italia si andrà in pensione a 71 anni. In alcune nazioni la situazione sarà anche peggiore, infatti,
sempre l’OCSE ha stabilito che in Danimarca si andrà a 74 anni, anche se la
media dei paesi europei sarà di 66 anni, Questo accadrà perché le pensioni
saranno adeguate alla crescita dell’aspettativa di vita. In breve, con l’idea
non dimostrabile che certamente vivremmo di più, tutti andranno in pensione in
età sempre più avanzata, come se a 71 anni una persona non sia già abbastanza
logora per continuare il suo percorso lavorativo. Questa è una regola voluta
dalla politica italiana, che insieme ad altri sette paesi dell’OCSE, legano l’età
pensionabile alla speranza di vita.
Secondo l'Ocse, "la concessione di benefici relativamente alti a
pensionati giovani fa sì che la spesa pensionistica pubblica dell'Italia
si collochi al secondo posto tra le più alte dei Paesi dell'Ocse, pari al 15,4%
del Pil nel 2019". Tuttavia
dobbiamo ricordare che l’Italia ha un sistema pensionistico diverso dagli altri
paesi europei. In Italia il peso finanziario delle pensioni e calcolato insieme
alla spesa per l’assistenza, mentre negli altri sistemi, quest’ultima, ricade
sulla fiscalità generale. Se non fosse conteggiata
questa spesa, il sistema pensionistico italiano sarebbe identico a quello degli
altri paesi europei, con una spesa del 12% del prodotto interno lordo
(PIL).
Oggi la situazione dei lavoratori italiani non è diversa rispetto a
quella prospettata dal rapporto: in Italia si va in pensione a 67 anni mentre
la media degli altri paesi europei è di 63. Non dimentichiamo che questo squilibrio
ha delle forti ripercussioni sul mercato del lavoro.
Più si alzerà l’età pensionabile e maggiori
saranno le difficoltà di entrata in un mercato del lavoro già ampiamente problematico. Detto in altri termini: quando lo studente
concluderà il suo percorso di studi, dovrà mediamente attendere più tempo per
subentrare al lavoratore pensionato.
Quota 100. Sempre secondo il dossier dell’OCSE, in Italia l’aumento progressivo
dell’età pensionabile sarebbe dovuto anche alla presenza di alcune leggi che
permettono di scegliere la pensione prima dei 67 anni previsti dalla legge. In questo senso possiamo
considerare la legge sulla quota cento, che permette di andare in pensione a 62
anni, avendo versato 38 anni di
contributi che si andranno a sommare all’età del lavoratore (38 + 62 = 100).
Se consideriamo la spesa pensionistica, possiamo leggere
che in Italia è aumentata del 2,2% del PIL in
un periodo che inizia nel 2000 e si conclude nel 2017. La spesa poteva essere
maggiore, ma la tendenza dei lavoratori italiani ad avere carriere più lunghe,
ha permesso di reggere la pressione del peso pensionistico naturalmente
aumentato, essendo l’Italia un paese in cui è continuato a crescere l’invecchiamento
demografico. Dunque, possiamo ritornare al discorso precedente. Affinché si
possa reggere il peso pensionistico, è indispensabile che aumenti l’occupazione,
ma come può l’occupazione aumentare se si alza l’età pensionabile dei
lavoratori? (Aumento che sembrerebbe indispensabile non
tanto per la crescita della speranza di vita, ma piuttosto per reggere il peso
del sistema pensionistico).
In conclusione, il rapporto stilato dall’OCSE evidenzia un altro
dato: ci saranno delle disparità di trattamento tra lavoratori autonomi e
lavoratori dipendenti. Gli autonomi avranno in media una pensione più bassa del
30% rispetto a un dipendente, nonostante la medesima età contributiva.
Vincenzo Maria D’Ascanio
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