giovedì 20 luglio 2023

Ricordando il G8 di Genova



 

Proprio in questi giorni del Luglio 2001 andai a Genova. Dovevo lavorare per la stagione estiva, ma volevo partecipare al G8. Ero curioso, da tempo i giornali ne parlavano e la tensione si alzava, ma non potevo prevedere che sarebbe accaduto l'irreparabile. Avevo già partecipato ad altre manifestazioni, ma nessuna aveva sopportato il carico di apprensione di quel G8, e soprattutto nessuna era mai stata di quella portata.

 

Il nostro gruppo non era particolarmente numeroso, la manifestazione era cominciata il giorno precedente. Tuttavia, tra i compagni presenti nella nave circolava una voce sempre più insistente, di cui non si comprendevano gli esatti contorni: era stato ucciso un ragazzo, ma non si comprendevano le ragioni e soprattutto non si sapeva se fosse uno dei nostri dei nostri o uno dei loro, pur constatando amaramente che, in ogni caso, una giovane vita era stata spezzata. In effetti, qualcuno mi disse che era stato ucciso un membro delle forze dell'ordine. "Se c'era tensione," pensai, "ora scoppia un putiferio..."

 

L'indomani, al risveglio, notai che il nostro traghetto era circondato da elicotteri, e quando uscii sul ponte vidi che la nave non attraccava nel porto di Genova, ma piuttosto in un piccolo porto non lontano. Camionette dei Carabinieri e della Polizia ci aspettavamo alle fine della scalette, per altro col mitra spianato. Domandai a un ragazzo come potevo arrivare a Genova: lui mi rispose che tutta le strade erano bloccate per decisione del Prefetto, e alla mia modeste lamentele mi disse degli incidenti e della morte di un manifestante. Quando si tolse il casco lo guardai con maggiore attenzione: poteva avere la mia stessa età, 19 o al massimo 20 anni.

 

Soltanto in seguito compresi che proprio la giovane età di Carabinieri o Poliziotti si sarebbe rivelato un fattore determinante, proprio in relazione ai disordini: quando si tratta di gestire l'ordine pubblico è necessaria esperienza, perché in determinati casi la giovane età non è buona consigliera.

A conti fatti mi resi conto che in nessun caso sarei arrivato a Genova. Quella mattina provai un profondo rammarico, perché nella mia facoltà di Scienze Politiche si era parlato a lungo della manifestazione. Inoltre ero certo che vi avrei incontrato altri compagni arrivati dalla Sardegna. Resta ancora il pensiero di come sarebbe stato parteciparvi in prima persona, e non soltanto viverla attraverso i racconti degli altri. Non so, una parte di me, a Genova, voleva esserci ma un'altra parte, quella più debole, mi sussurrava che forse era stato meglio così. Uno dei classici conflitti interiori combattuti tra i tanti "io" che mi compongono.

 

In questa foto, scattata circa dieci anni dopo al Circolo PRC di Quartu S. Elena, presentavo il mio libro insieme a Giuliano Giuliani, il padre di Carlo, il ragazzo ucciso durante gli scontri. Per me fu un grande onore, per questo ringrazio il compagno Manrico Casini per avermi dato la possibilità di conoscere una persona straordinaria. Su quel G8 si è detto tanto, ma nessuna parola, nessuna immagine, potrà eguagliare il mio ricordo degli occhi di Giuliano. Lui Carlo l'ha visto nascere, l'ha visto prima bambino e poi adolescente, l'ha osservato dare i primi calci a un pallone, forse l'avrà accompagnato nel suo primo giorno di scuola... e infine l'ha visto diventare un ragazzo, purtroppo mai un uomo.

 

Sarò stucchevole, ma considero che quella notte non sia stata inutile. Inoltre, oggi vivo nell'assoluta convinzione che le battaglie (non comprese) di quella generazione, se accolte avrebbero reso il nostro pianeta più giusto e vivibile. Protestavamo contro le guerre preventive, che tanti danni hanno creato nel mondo. Chiedevano regole per il lavoro, che poi furono annientate, soprattutto, chiedevamo un mondo più umano, lontano dalle logiche del profitto e della globalizzazione. Ora penso a quelle parole che ci etichettavano, come no global, che oggi ha perso quasi senso, se penso ai sovranismi di questi ultimi anni.

 

Appunto, “noi” non eravamo di certo sovranisti, eravamo “no global,” una cosa ben diversa, anche se può dar luogo a confusione. Il nostro movimento voleva contrastare la deriva del capitalismo, che voleva annullare le specificità dei popoli per omologarli, al fine trasformare i cittadini in meri consumatori. Essere un no global non significava valorizzare le specificità, per escludere gli altri. Significava piuttosto ricordare quanto fosse unico ogni essere umano, e quanto fosse speciale ogni popolo, coi suoi costumi, la sua religione, le sue consuetudini, senza che queste si trasformassero in conflitto di civiltà.

 

Per questo penso che quella manifestazione non sia stata inutile, come non è stata inutile la morte di Carlo, anche se di certo evitabile. Quel G8 mi ricorda sempre che, alla fin fine, credevo e spendevo il mio tempo per degli ideali giusti, e anche se il mondo sembra averci dimenticato, conservo sempre quella positiva sensazione di essere stato e di essere ancora oggi dalla parte giusta della barricata, anche se vent'anni sono passati e, come la società che mi circonda, anch'io posso dirmi cambiato, ma solo nel mio strato più superficiale. A livello dell'epidermide.


Vincenzo Maria D'Ascanio

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