Umberto I continua ad essere chiamato e avere la nomea, non solo in
moltissimi libri scolastici, di re “buono”. Si tratta di una vera e propria
falsità storica. Intanto il nostro re buono
continua a campeggiare nelle nostre Vie, Piazze e quant’altro. Ma vediamo chi
era. Vediamo la sua opera storica!
Iniziamo a ricordare che Umberto I non fu solo connivente con la
politica coloniale, autoritaria, repressiva e liberticida dei Governi di fine
Ottocento, da Crispi in poi, ma ne fu un entusiasta sostenitore: appoggiò le infauste “imprese” in Africa (con
l’occupazione dell’Eritrea (1885-1896) e della Somalia (1889-1905), che tanti
lutti e spreco di risorse finanziarie comportò: ben 6.000 uomini morirono nella
sola battaglia e disfatta di Adua nel 1896 e 3.000 caddero prigionieri). Fu
altrettanto sostenitore del tentativo, di imporre leggi liberticide da parte
del governo del generale Pelloux nel 1898, tendenti a restringere le libertà
(di associazione, riunione ecc.) garantite dallo Statuto.
Sempre nel 1898 (8 e 9 maggio), “le truppe del generale Fiorenzo
Bava Beccaris spararono sulla folla inerme uccidendo circa 80 dimostranti e
ferendone più di 400”(1) . Fu un vero e proprio eccidio. La
prima volta nella storia italiana si utilizzarono i cannoni per sparare sulla
folla per reprimere una Manifestazione di protesta. Ebbene il re Umberto, ribattezzato
dagli anarchici Re mitraglia, forse per premiare il generale stragista per la
portentosa “impresa” non solo lo insignì della croce dell’Ordine militare di
savoia ma in seguito lo nominerà senatore!
Questo in Italia. In Sardegna l’anno seguente nel 1899 assisteremo
alla “Caccia grossa”! Il capo del governo, il generale
Pelloux – quello delle leggi liberticide che non passeranno solo per
l’ostruzionismo parlamentare della Sinistra – invierà in Sardegna un vero e
proprio esercito, un intero Reggimento, che, con il pretesto di combattere il
banditismo, nella notte fra il 14 e il 15 maggio arrestò circa mille persone.
Maria Giacobbe, la grande scrittrice nuorese, in un bellissimo libro
testimoniale e di denuncia, “Le Radici”, ricorda e rievoca il fatto in cui è
stato coinvolto il nonno, anche lui arrestato (2).
Il fatto sarà anche raccontato, quasi vantandosene, da un giovane
tenentino, Giulio Bechi in “Caccia grossa”: la caccia all’uomo delle selve, al
bandito-cinghiale, al selvatico. Il
titolo del libro – dirà nel 1953 Lussu in un memorabile intervento in Senato in
cui si discuteva sul banditismo sardo – rivela la mentalità poliziesca e
inumana con cui si contrapponeva allora, e spesso si contrappone tutt’ora,
l’ordine al disordine, la legge alla negazione della legge: a ricordarlo è
Manlio Brigaglia, autore di una ricca e documentata prefazione a una bella
edizione di “Caccia grossa” da parte della Ilisso di Nuoro del 1997 (3).
Ma ecco come descrive “La Caccia grossa” Eliseo Spiga ”Lo stato rispondeva la banditismo cingendo il
Nuorese con un vero e proprio stato d’assedio,
senza preoccuparsi di un’intera società che si vedeva
invasa e tenuta in cattività come un popolo conquistato… Ed ecco gli arresti, donne, vecchi e
ragazzi… sequestrate
tutte le mandrie e marchiate col fatidico GS, sequestro giudiziario… venduti in aste punitive tutti i
beni degli arrestati e dei perseguiti…
Gli arrestati furono avviati a
piedi, in catene, ai luoghi di raccolta, Un sequestro di persona in grande, per
fare scuola”(4) .
Ma la Sardegna, la repressione poliziesca durante il regno di
Umberto I l’aveva conosciuta anche prima del 1899, in particolare a Sanluri. In questo grosso centro
del Campidano, in un clima di povertà, di incertezza e disperazione, il 7
agosto 1881, scoppiò una sommossa popolare contro il carovita e gli abusi
fiscali, (Su trumbullu de Seddori),
sommossa repressa violentemente: ci furono 6 morti. Il fatto suscitò notevole apprensione in tutta l’Isola, e in gran parte della terra ferma, per i morti e per le gravi conseguenze giudiziarie.
L’8 novembre 1882 ebbe inizio il “Processo” giustamente chiamato
della fame, perché venivano processati dei poveracci morti di fame: Tale processo per il numero degli imputati e per la sua
durata, (terminò il 26 febbraio 1883) fu ritenuto uno dei più importanti
dell’isola. La sentenza fu molto pesante, soprattutto verso alcuni imputati giovanissimi: venne condannato a 10 anni di reclusione Franceschino Garau
Manca, detto “Burrullu” di anni 16, mentre Giuseppe Sanna Murgano di anni 19 ed
Antonio Marras Ledda di anni 18 furono condannati a 16 anni di Lavori Forzati.
Riferimenti bibliografici
1.
Franco della Paruta, Storia dell’Ottocento, Ed. Le Monnier, Firenze, 1992,
pagina 461.
2.
Maria Giacobbe, Le Radici, Ed. Il Maestrale, Nuoro 2005.
3.
Giulio Bechi, Caccia Grossa, Ed. Ilisso, Nuoro 1997.
4.
Eliseo Spiga, La sardità come utopia, note di un cospiratore, CUEC 2006, pagina
162
Francesco Casula. Scrittore e saggista, autore de “Carlo Felice e i tiranni Sabaudi”
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